Se la Germania non ha stretto il cappio al collo della Grecia, Tsipras deve ringraziare Pier Carlo Padoan e la stima che per lui nutre l’inflessibile Schaeuble, ministro delle finanze tedesco che dalla sua sedia a rotelle di fatto governa l’Europa. E’ stato l’intervento di Padoan ad ingessare le reni alla Grecia per i prossimi quattro mesi fino a giugno secondo il preliminare di accordo firmato con l’Eurogruppo. Governo inesperto quello greco ammette il portavoce, se Tsipras non avesse messo in discussione gli accordi firmati dal precedente governo, avrebbe avuti disponibili per capitalizzare le banche già a fine febbraio i soldi che invece avrà solamene a fine aprile. Senza l’accordo favorito in extremis da Padoan e Sapin martedì prossimo, le banche greche a secco di liquidità avrebbero spento i bancomat. Tsipras che pure è andato in TV a cantare vittoria per aver messo fine all’austerità, in realtà ha i soldi contati appena fino a giugno quando per pagare i 6,7 miliadi di debiti in scadenza, avrà bisogno di un terzo programma di aiuti dopo il primo ricevuto nel 2010; sarà quindi difficile immaginare riforme di sinistra per Varoufakis che possano adeguatamente sostituire quelle del memorandum imposto dalla Trojka. Con molti nemici, ma poco onore la Grecia di Tsipras è uscita dall’Eurogruppo, le sue proposte sono state respinte non solamente dalla Germania come era prevedibile, ma anche e soprattutto diremmo, dalla Spagna, dal Portogallo, dall’Irlanda da quei paesi cioè che hanno accettato, pagato e patito il programma di riforme della Trojka. Riassunzione degli statali licenziati, abolizione della tassa sulla prima casa, incremento della spesa sociale, sconti sull’energia elettrica per le famiglie, blocco delle privatizzazioni, nulla del programma con il quale Syriza ha vinto le elezioni è stato accettato a Bruxelles. La Grecia di Tsipras è stata costretta invece ad impegnarsi nell’attuazione solamente di quelle riforme previste dal suo programma elettorale, che non mettono in discussione gli obiettivi di bilancio decisi dalla Trojka e che ora con una finezza semantica vengono intestati alle “istituzioni”. Tutte le misure che il governo greco intendesse adottare e che potrebbero avere ripercussioni sul deficit, dovranno preventivamente essere autorizzate comunque da Bruxelles. Un bagno nella fredda realtà dei numeri dopo il calore consolante del successo di piazza, vedremo nel futuro a breve quanto sarà salutare agli scamiciati di Atene. Al ritorno in Patria hanno provato ad arginare le inevitabili tensioni interne al partito con un poco rassicurante “scriviamo noi” le riforme stavolta, non sarà la Trojka a dettare le condizioni. Un motto che ricorda da vicino quello dei cugini italiani e che per la verità non ha portato propriamente fortuna ai 5 stelle. I reduci della campagna d’Europa hanno dovuto faticare non poco a placare gli animi della minoranza interna di Syriza accreditando a loro discolpa la tesi del complotto e della congiura internazionale buona per ogni stagione, utile a spiegare ogni crisi. Non mancano però le voci che comunque tentano di farsi coraggio dopo la disfatta europea di Syriza ed a fanno l’elenco di quello che il duo sfrontatezza è riuscito ad ottenere prima di ritornare in Grecia come Napoleone all’Elba dopo la sconfitta di Lipsia: i controlli e le verifiche sull’economia greca non saranno intestati alla Troika, ma gli stessi tecnici spulceranno i conti in nome delle “istituzioni”, l’avanzo primario cioè la differenza tra entrate ed uscite al netto degli interessi sul debito non sarà più vincolato al 4,5% annuo, ma parte di questo potrà essere destinato alle famiglie indigenti che quotidianamente sono ospiti delle mense pubbliche e basta. Finiscono qui i risultati della battaglia “vinta” contro l’austerity. Le promesse elettorali del ripristino del salario minimo, della restituzione ai pensionati della XIII mensilità e della riassunzione degli statali non sono contemplate dagli accordi di venerdì. Ancora una volta la cavia greca ha certificato che nella moneta unica non è obbligatorio vivere a debito e che agli Stati che vogliono mettere in atto politiche espansive finanziandosi sui mercati non saranno fatti sconti. Ingessata la Grecia reggerà per altri quattro mesi poi dovrà decidere una volta e per sempre se accettare l’assistenza ed abbandonare l’assistenzialismo oppure uscire dall’euro in maniera ordinata. Poteva toccare anche all’Italia un simile dilemma e forse non è ancora detto che non saremmo chiamati a risolverlo.
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