Autonomia, la confusione è totale, generalizzata e non prende solamente i cittadini delle Regioni che hanno promosso istanze di maggiori attribuzioni, ma gli stessi politici. Sono scesi in piazza a manifestare contro l’autonomia differenziata quegli stessi che rivendicano orgogliosi autonomia per le loro comunità e che addirittura fondano partiti autonomisti con aspirazioni europee. Difficile orientarsi nel caos. Il sentore è che sia nato un traffico di autonomie elettorali che alcuni contrabbandano per indipendenza come il Presidente della Regione Veneto ed altri spacciano per spesa sociale: si va a Roma, si prendono soldi e si spendono allegramente come meglio ci pare. Che poi, se qualcuno alza la testa e azzarda la proposta di un’autentica autonomia responsabile capace di spendere quanto si raccoglie, ecco che senza ritegno si prende anche del leghista dell’ultima ora. Sono tempi di manipolazioni strumentali alla comunicazione più che di politica, questi che viviamo e quanto più intelligente e rassicurante può apparire il ragionamento, tanto maggiore è la possibilità che celi un raggiro speculativo. Nella morsa dell’autonomia ad esempio, chi rischia veramente di rimetterci le penne elettorali è l’erede più accreditato tra gli autonomisti: Matteo Salvini. La Lega di Bossi che dell’autonomia fece addirittura una questione Statutaria, oggi si ritrova stretta tra gl’interessi degli imprenditori padani e la domanda di sostegno che viene dal meridione. Domanda che porta in dono un cospicuo ed irriducibile pacchetto di voti assistenziali che potrebbe farle compiere un notevole balzo in avanti. Al punto in cui è arrivato, difficile che Salvini schiacci il piede sull’accelleratore del federalismo fiscale e rinunci a diventare il partito di maggioranza relativa perno di ogni futura alleanza di Governo nei prossimi dieci anni. A diradare la nebbia che avvolge l’autonomia differenziata arrivano le autorevoli parole del costituzionalista Valerio Onida: l’autonomia non toglie e non mette risorse. L’autonomia trasferisce esclusivamente le competenze. Il residuo fiscale, cioé la differenza tra le tasse raccolte in un territorio e la spesa attribuita a quello stesso territorio, non verrà trattenuto, ma andrà come già oggi avviene, a compensare con la redistribuzione i territori a ritardo di sviluppo. I vantaggi che ne trarranno le Regioni autonomiste, saranno quelli tipici della buona, efficiente, sana amministrazione di cui hanno dato ampiamente prova sin dalla nascita del regionalismo. Potrebbe risultare un modello di sviluppo efficace per il mezzogiorno tutto, lo stimolo ineludibile ad efficientare i servizi e razionalizzare la spesa. Piuttosto che continuare nell’inerzia e vivere a rimorchio di quelli che lamentano da decenni di essere trattenuti dalla zavorra meridionalista, è meglio provare ad emanciparsi. In caso di fallimento, si potranno comunque restituire le competenze allo Stato. Almeno di non voler emulare l’autonomismo speciale custodito gelosamente a Palermo, che nonostante gli appalesati fallimenti in ogni campo di competenza, i siciliani ancora continuano orgogliosamente a rivendicare. Bisognerebbe introdurre un automatismo alla richiesta di autonomia: trascorsi due lustri, se gli obiettivi non sono raggiunti, le competenze ritornano a Roma. Non c’è altra via per chiudere definitivamente questo dibattito tra centralismo ed autonomismo che dura dall’Unità d’Italia!!!!!!!!!
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