Ai più sarà sfuggita, non ha avuto infatti una grande eco sulla stampa l’analisi marxista del renzismo proposta da Bertinotti simpatico campione parolaio, già Presidente della Camera che ancora si lascia apprezzare per indubbia originalità di pensiero. Per la verità noi preferiamo i comunisti che stanno sulla “catena di montaggio” perché riteniamo che siano i soli a conoscere ciò di cui parlano. Il buon Fausto invece nella sua vita passò alla politica dopo aver fatto sindacato ed ora gode di un lauto vitalizio da seimila euro al mese dopo aver intascato una buonuscita da 250.000 euro dal Parlamento. “Io ci vivo col mio vitalizio”, ebbe a dichiarare ai tempi del governo Monti quando il professore minacciò di tagliare gli stipendi pubblici. Comunista sì, ma mica scemo avrà pensato, difendendo senza indugi o riserve il suo appannaggio meritato dopo anni di comizi ed arringhe. Una vera icona del lavoro parlato cosa diversa dalla fatica operaia, comunque di sicuro fascino comunicativo con la sua “r” arrotondata ed il tono accattivante con il quale intrattiene gli interlocutori evocando scenari nuovi cui nessuno aveva saputo pensare prima. Nel pezzo pubblicato da Il Foglio, Bertinotti dice che la sinistra è stata geneticamente mutata dalla rivoluzione capitalista della globalizzazione nel centro-sinistra a sua volta affossato dalla crisi economica europea, dalla quale in un nuovo processo di metamorfosi è nato il renzismo. Un fenomeno bonapartista perché cavalca le pulsioni popolari portatrici di verità assolute che a differenza di Grillo però, vuole imporre dall’alto attraverso la centralità dell’esecutivo facendo del partito, il governo. In questo senso Renzi è leninista secondo Bertinotti, ha sostituito il modello del partito che si fa Stato, col modello del partito che si fa governo propulsore unico di riforme incontestabili seguendo una dottrina economica di social-liberismo. Se per un verso infatti, mette in atto una vera e propria azione di redistribuzione con gli 80 euro di sgravi nelle buste paga più povere e penalizza la rendita finanziaria aumentandone la tassazione, dall’altro accetta l’austerity ed i vincoli di bilancio, se ne infischia della concertazione e libera il lavoro da tutti i lacci e lacciuoli. Bertinotti riconosce che la concertazione negli anni ha impoverito i salari, mentre i rinnovi dei contratti prevedono 60 euro d’incrementi in tre anni, Renzi in un colpo solo ne mette 80 di euro nel portafogli degli operai.
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