Il Piave ha mormorato ieri 28 febbraio in piazza del Popolo a Roma per Salvini, tra boschi di braccia tese venute giù dal Pincio coi bicipiti pronti a dialogare anche col califfo se del caso e contadini veneti in mutande. Più della politica, la sintonia con la Lega di Salvini è una “faccenda antropologica” precisa Simone di Stefano, vice presidente di Casa Pound. Dal palco solo accenni, giusto qualche titolo della Fallaci suggerito a mezza voce tra un vaffa ed altre zecche. Qualcuno un pò malizioso vi potrebbe leggere in quei libri anche un avviso per ospiti sgraditi che dovessero venire da lontano con l’idea di abbattere i monumenti della Città Eterna: sappiate che ad attendervi non troverete solo le belle statuine di Alfano, ma anche uomini in grado di ragionare. “Noi con Casa Pound non abbiamo nulla a che fare” si è affrettato a far sapere Toti, dispensatore di veline mediaset preoccupato di vedere il suo editore fuori dai giochi una volta e per sempre. Il timore che la destra si possa liberare definitivamente del fardello affaristico-collusivo per poter alzare orgogliosa quelle mani pulite al cielo le stesse che un tempo Giorgio Almirante mostrava fiero della sua diversità nelle tribune politiche di Ugo Zatterin, traspare da ogni sillaba con la quale a fatica Toti prova ad argomentare: “forza Italia col presidente (sic!) Berlusconi in testa, è impegnata in uno slalom quotidiano tra opinioni contrastanti per superare i veti incrociati delle altre forze con le quali vogliamo allearci unico modo che abbiamo per battere Renzi. Salvini sta costruendo una forza lepenista che non raggiungerà mai la maggioranza del 51%” a Salvini infatti, per governare potrà bastare la maggioranza relativa del 40% dell’italicum, ma questo il disperato eroico Toti non può dirlo: è stato il suo stesso padrone a firmare l’istanza di pensionamento al nazareno. Il solo che sembra avere rimpianti per i bei tempi che furono nella Lega, è il vecchio e malconcio Bossi. Sarà forse questa la volta buona della destra italiana per ripulirsi?
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