coronavirus, non basterà una sola moneta per uscire dalla crisi

E’ imbarazzante l’euroltranzismo della sinistra che si scaglia contro l’austerità e non capisce che le politiche di bilancio sono state in essere e si riproporrano nel prossimo futuro, esattamente perché c’è l’euro. Una volta la sinistra era meglio di così, chiosa Alberto Bagnai. Si discute di Grecia e della crisi lontana che fu del debito eppur mai così vicina, a distanza di dieci anni. Gli argomenti restano d’attualità e le disamine pienamente valide, ancora irrisolte putroppo per l’Italia che si appresta a sconfiggere il coronavirus, uscire di casa e ritrovarsi sulle spalle oltre la crisi economica, un macigno sociale di disperazione e disagio impossibili da risollevare con le condizioni date all’eurozona, all’interno della quale per avviare un percorso di crescita reale e virtuosa bisognerebbe chiedere ai tedeschi di non essere più tedeschi. Vale a significare di fare inflazione; comunitarizzare il debito; consumare; pagare bene i lavoratori, soluzioni improponibili in Germania alla stessa opinione pubblica, anche ammesso che si riuscisse a convincere la sua classe dirigente, lascia intendere Vladimiro Giacché.
L’euro fu pensato per facilitare i movimenti di capitali assumendo per vera l’ipotesi che la maggiore circolazione avesse sempre e comunque esiti benefici. Così non è stato e così non sarà, temiamo, nemmeno per questa ultima crisi. Che cosa è accaduto alle economie dell’eurozona con l’avvento della moneta unica: fissato un cambio, la nuova moneta è risultata essere più debole per alcuni paesi, più forte per altri. I paesi che si sono ritrovati con una moneta più debole, evidentemente ne sono venuti avvantaggiati nelle esportazioni ed hanno concetrato le produzioni nei settori dei beni commerciabili. Hanno risolto sostanzialemente i loro problemi economici. I paesi invece che si sono ritrovati tra le mani una moneta più forte, sono rimasti inevitabilmente svantaggiati nelle esportazioni perché la loro manifattura è risultata meno competitiva. Gli imprenditori di questi ultimi quindi, si sono visti costretti a concentrare i propri investimenti nei settori dei servizi, economia debole per definizione perché suscettibile a troppe variabili imprevedibili, pensiamo al settore del turismo letteralmente azzerato dalla epidemia. Unitamente ai servizi, i paesi con una moneta diventata troppo pesante per la propria economia, hanno visto concentrare gli investimenti nel settore immobiliare che non si esporta, quindi non è esposto alle turbolenze della globalizzazione ed è alimentato dalla integrazione finanziaria che ha reso i mutui accessibili alle masse. L’accesso indiscriminato ai mutui, ha però così inflazionato la domanda da non risultare più in grado di onorare gli impegni ed indotto quelle che abbiamo conosciute come “bolle immobiliari”, crisi tipiche delle economie squilibrate dove i consumi sono solleticati dal credito agevolato in direzione di una offerta altrimenti inevasa. Non da meno del credito indiscriminato, ha conbcorso agli squilibri economici la delocalizzazione industriale alla ricerca di più profittevoli condizioni produttive e che ha reso l’Italia ancor più dipendente dall’estero anche per i consumi essenziali che non riguardano esclusivamente l’approvviginamento di tecnologie avanzate, ma anche di semplici beni primari quali sono le mascherine ed i respiratori polmonari in attesa dei quali molti anziani c’hanno rimesso la pelle. Se ciascun paese europeo avesse mantenuto la propria moneta invece, la fluttuazione del cambio avrebbe enormemente accellerato l’uscita dalla crisi con una crescita sostenuta dalle esportazioni. Poniamo il caso dell’Italia che dovrà far fronte ai postumi economici della pandemia. Ci sarà sicuramente un calo verticale della domanda. Sui mercati internazionali la domanda di beni tedeschi si pagherebbe in marchi; quella del made in Italy, in lire. Quindi, minore richiesta di beni italiani equivarrebbe a minore richiesta di lira che ne risulterebbe svalutata. Ecco che la fluttuazione del cambio renderebbe i nostri prodotti grandemente più competitivi in un momento in cui anche gli altri paesi sono alle prese con bilanci in affanno ed alla ricerca di condizioni meno onerose per consumi di qualità. Costretti nella gabbia dell’euro che i Trattati impediscono di svalutare, per essere competitivi, non rimane altro che comprimere i redditi da lavoro in quanto il prezzo della moneta resta invariato per tutti. L’austerità di bilancio che ci è stata presentata come strumento indispensabile alla riduzione del debito in realtà, è stata un mezzo per convincere i lavoratori presi dal ricatto della disoccupazione, ad accettare salari inferiori al fine di raggiungere quella competitià che l’euromarco, con i suoi ferrei vincoli, ci impedisce di raggiungere per altre vie:

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