Non usa mezzi termini il Generale Leonardo Tricarico per farci capire che con un esercito infiacchito da anni di missioni in ordine pubblico e quindi del tutto disabituato al combattimento sul terreno; con una difesa al verde per i tagli che si praticano dal 2005 ed un bilancio prosciugato da mare nostrum che inoltre distrae le unità navali dai compiti istituzionali per adibirle alla ricerca ed al soccorso in mare altro che guerra in Libia, sarà già un’impresa quella di difenderci da eventuali attacchi con missili Scud o portati per via aerea con modalità simili a quelle che hanno abbattuto le torri gemelle nel 2001. I rischi cui siamo esposti sono concreti e reali: i contratti di manutenzione dei sistemi d’arma per fare un esempio, sono in scadenza e non ci sono soldi appostati per i rinnovi; gli americani (il generale non lo dice, ma è ragionevole pensare che sia la volontà di Obama), non ci forniscono i kit di armamento dei Predator fondamentali nella lotta al terrorismo. Se alle difficoltà oggettive aggiungiamo la particolare predisposizione tutta italiana della opinione pubblica di non tenere in alcun conto le esigenze di difesa anzi, di apprezzare comportamenti di resistenza ed opposizione ad ogni investimento in campo militare, si comprende bene come un attacco terroristico improvviso o peggio una azione combinata tra cielo e terra, potrebbe coglierci impreparati e colpire l’intero sistema di protezione nelle falle più macroscopiche. Le difficoltà come accennato, sono aggravate da una generale sottovalutazione nella stessa popolazione italiana, della minaccia che può arrivare dall’esterno e questo fenomeno unico al mondo, si spiega solo in parte con il fatto che per settantanni la sicurezza è stata garantita dagli USA con la presenza anche massiccia in alcune circostanze, di uomini e mezzi sul nostro territorio nazionale consentendoci di liberare risorse economiche ed umane per altri settori. Oggi che lo scenario internazionale è profondamente mutato e l’America di Obama ha spostato la focale dei suoi interessi dall’Europa all’Asia rinunciando a quel ruolo di potenza che assicurava l’ordine globale, bisognerebbe impegnarsi in una opera di rieducazione per sensibilizzare le giovani generazioni al ruolo fondamentale che svolgono le forze armate se bene equipaggiate ed addestrate nel mantenimento della pace, della libertà e della prosperità di un popolo. Ed invece, non più tardi del 2011 quando fiorivano le cosiddette “primavere arabe” presto sfiorite nel freddo inverno islamico, abbiamo dovuto registrare il paradosso che organi della Repubblica quali l’Assemblea Regionale autonomista di Sicilia, con faciloneria irresponsabile per soddisfare strumentalmente fasce del proprio elettorato, scese in campo intraprendendo una serie di iniziative mirate ad impedire la costruzione della stazione satellitare di Niscemi nota come MUOS che i fatti recenti ci dicono preziosa per il rilevamento e prevenzione delle situazioni di minaccia che possono venire dalla instabilità delle terre di nord-Africa. La pretesa che ci vuole abbandonati nelle mani del destino in tutta sincerità, non possiamo chiamarla “pacifismo”, ma più propriamente ci viene di qualificarla quale dolorosa eutanasia di un popolo che ha smarrito la volontà di conservare la missione ad esso assegnata dalla storia.