Nella XXXII domenica del T.O. la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù risponde ai sadducèi che non credono nella risurrezione dei morti: “che … i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: ‘Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe’. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui”.
“Abramo, Isacco e Giacobbe sono vivi!”, proclama il Signore, esiste quindi la resurrezione dopo la morte, l’anima vive per sempre. Gesù Cristo con la sua Passione Morte e Risurrezione ci ha rivelato, inoltre, una delle Verità più sconvolgenti della persona umana: la Resurrezione corporea di ogni uomo. Quando tornerà il Signore glorificherà anche la nostra carne umiliata dalla malattia, dalla vecchiaia e dalla morte e il nostro destino eterno, paradiso o inferno, sarà col corpo. Nel Simbolo apostolico, che sintetizza mirabilmente la fede della Chiesa, affermiamo solennemente “Credo nella resurrezione della carne”. Pertanto la stessa Chiesa, da sempre, ha visto nella sepoltura un segno più efficace dell’attesa cristiana della Risurrezione, piuttosto che la cremazione, consuetudine tipica del paganesimo. E pur ammettendo oggi la cremazione, qualora non ci sia un esplicito rifiuto di tale attesa, considera essere “l’inumazione la forma più idonea per esprimere la fede e la speranza nella risurrezione corporale”. Le ceneri, però, non vanno disperse, o trattenute in casa, né trasformate in orridi monili, ma vanno tumulate nel cimitero: questo è il luogo adatto per intercedere per le anime del Purgatorio, fare memoria dei nostri cari e meditare, mentre invochiamo con perseveranza Maranathà: Vieni Signore!
Commento di Don Fabio Rosini alla luce della Prima Lettura: