Dalla borghesia intellettuale, agli industriali, alla finanza, sono tutti in allarme. Fascisti, grillini e Lega sono impazienti di raccogliere nelle urne il giudizio degli italiani, che invece spaventa tutti coloro che hanno rendite e posizioni di sfruttamento da tutelare. I detentori dei poteri reali sono alacremente impegnati ad appuntare, argomentare, mettere in guardia dai pericoli che correrebbe la democrazia e dalla catastrofe economica nella quale l’Italia potrebbe incorrere se al Governo giungessero le forze di alternativa a questa Europa mondialista appiccicata insieme dal collante monetario. Dopo la Brexit e Trump, si è messo anche il crollo del muro della stabilità tedesca ad aggravare le preoccupazioni, a conferma che le minacce concrete agli apparati dei poteri rassicuranti costituiti all’ombra delle grandi organizzazioni sovranazionali, arrivano proprio dalle urne. La democrazia non ha più religione. E’ evidente. De Benedetti prova a farsi coraggio. Deluso da Scalfari sorpreso ad amoreggiare con Di Maio; scosso dall’isterismo di Renzi; caduto nel ridicolo Dalema e con un Berlusconi che ripete le stesse cose da ventitre anni come un Portobello sul trespolo, l’ingegnere punta le sue fiches su Gentiloni, la forza tranquilla che più di tutti gli altri lo farebbe sentire al riparo dal freddo che sta per arrivare sul vecchio continente al tramonto dell’era Merkel. Popolo od élite brussellesi, alle prossime elezioni si deciderà se mettere l’Italia nelle mani della premiata ditta M&M (Merkel e Macron), o ritrovare un destino da protagonisti al quale per altro l’UE ci ha già da tempo abbandonati, lasciandoci protagonisti unici alle prese coi migranti e con un debito che non ha la benché minima intenzione di mutualizzare. Difficile darla a bere agli elettori spiegando loro che fuori di questa Europa non c’è vita se fino ad ora che siamo ancora dentro, ne abbiamo ricevuto in cambio solamente problemi, fallimenti, divieti e rampogne. L’Europa di Bruxelles ci ha intrappolati in un reticolo di vincoli e principi inderogabili dal quale venire fuori sembra impossibile senza pagare lo scotto di una dolorosa e profonda ferita da mutazione innanzitutto culturale, poi sociale ed economica. E non parliamo solamente di immigrazione, problema per il quale l’Europa dapprima richiama tutti i paesi membri ai più alti principi di civiltà, poi pretende di risolvere facendo del nostro territorio il centro di raccolta continentale, consapevole che per tutta una serie di motivi, non ultimi anche di carattere storico, siamo il ventre molle sul quale poter agilmente impiantare ogni idea sperimentale programmata a tavolino: dai governi fantoccio eterodiretti dalle istituzioni monetarie internazionali, alle sostituzioni di genti e tradizioni pena la minaccia di razzismo ad ogni cenno di contestazione. Prendiamo ad esempio la vasta riforma fiscale che salverà Trump e l’America. A restare dentro l’Europa a trazione finanziaria, sarebbe impossibile sia farla in deficit come ipotizza il ganassa, sia immaginando di poter tagliare la spesa per investire in un reddito universale come sognano i grillini. Infischiandosene delle regolamentazioni europee, una strada per ridimensionare il debito e contestualmente liberarsi dall’oppressione fiscale, potrebbe essere quella prospettata dal prof. Nicola Rossi, già deputato PD, ripresa dalla Lega sia pure con accenti esasperati da motivi di visibilità mediatica: tagli annuali netti alla spesa. Tali da permettere in cinque anni di accantonare le risorse necessarie per compensare il dimezzamento della pressione fiscale sui redditi e sulla economia nel rispetto pieno del dettato Costituzionale con una progressività garantita da un sistema ben congegnato di deducibilità e detrazioni…
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