PIL a picco; debito pubblico, buono o cattivo che dir si voglia, alle stelle; 1,5 milioni i disoccupati previsti, è alle porte il redde rationem d’autunno e molti, trasversalmente, pensano a Draghi. Finanche l’opposizione non trova motivi per non puntare su big Mario al Colle. L’ultimo italiano che gode di prestigio internazionale ed ascolto presso le Istituzioni finanziarie che governano l’economie globali. Il solo, forse, in grado di poter imporre misure che la classe poltica alle prese con il consenso a breve, fatica a deliberare. Ma Draghi non è Monti, precisa Brunetta, quasi a voler rassicurare che Draghi non verrebbe per tagliare e tassare, quanto piuttosto per impiegare produttivamente le risorse del famigerato “recovery fund ” negli investimenti infrastrutturali utili allo sviluppo. Di più, Draghi ha smorzato e seppellito le aspirazioni dei sovranisti. Dell’intervento tenuto al “meeting” di Rimini infatti, pochi hanno posto l’accento su affermazioni non trascurabili dello scenario post covid inevitabile prossimo venturo. Se lo vorranno al Colle (meno probabile a palazzo Chigi considerato il profilo austero e distaccato dalle ribalte pubbliche di un PdC), Draghi, dopo aver accarezzato l’opportunità di fare debito e sospendere le regole di finanza pubblica che ci hanno guidati fino all’arrivo della pandemia, ha puntualizzato che superata la sfiducia e usciti dall’incertezza della crisi, bisognerà ridisegnare il futuro col ritorno alla responsabilità delle regole. Insieme alle regole, Draghi prevede il riposizionamento alle coordinate di sempre: Europa; multilateralismo; sistema di giurisdizione sovranazionale! Quindi, chi pensava di poter cambiare il mondo servendosi di Draghi, può mettersi l’anima in pace. E’ stata questa la lettura di Draghi proposta dai grandi media? Neanche per idea. Avete invece letto che big Mario è l’ultima fiche che l’Italia può giocarsi per non cadere nel precipizio del fallimento. Vero, ma solamente in parte. Draghi sarà l’ultima carta da giocarsi se dopo il covid si dovesse restaurare il mondo che l’ha preceduto e come si può facilmente intuire leggendo le sue parole, i lavori sono già in corso, frenetici. Si sono fatti avanti senza pudore quelli stessi che dapprima ci hanno gettato nel disastro e nella confusione aprendo scriteriatamente alla globalizzazione; poi pensando di curarla con la turbomoneta ed oggi, in forza della loro esperienza (non certamente positiva), vengono a proporci il turbodebito, sommesso ed un pò snobbato, ci schiarisce le idee Giulio Tremonti. Molto di quello che sta accadendo con la pandemia, era stato previsto nel 2010 quando al G20 si contrapposero la visione del “Governo italiano”, a quella della finanza apolide. La prima vedeva l’uscita dalla crisi, i cui effetti si sono prolungati fino all’arrivo del mostro covid ancora più feroce, nel passaggio dal mercato libero globale al commercio equo perché non è sufficiente che i prezzi siano fatti dal mercato per risultare giusti, ma che anche la produzione dei beni e dei servizi debba avere regole ambientali e sanitarie corrette ovunque. All’assemblea dell’Ocse prese dunque forma anche una bozza di Trattato internazionale denominato “global legal standard” al quale però fu preferito il “financial stability board” che poneva quale motore degli scambi la finanza che ci ha regalato dieci anni di turbocapitalismo e pensate, la guida del FSB, fu assunta esattamente da un certo Draghi, il big Mario che ieri ci scriveva di tagliare la spesa per rientrare dal debito ed oggi ci parla di aumentare la spesa per fare debito nel frattempo divenuto buono. Leggere il professore Tremonti, può risultare illuminante per ricostruire i processi macroeconomici posti in essere dai padroni del vapore globale sopra e fuori le urne elettorali oramai simulacri delle politiche democratiche che un tempo decidevano i destini dei popoli e disegnavano il futuro del mondo.
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