Siamo stufi, vi sfido a vietare la Kippah, l’ha presa male Recep Tayyip Erdogan l’inaspettata pronuncia in punta di diritto della Corte di Giustizia europea che ha dichiarato legittimo il divieto a celare i tratti somatici sul posto di lavoro. Quel segno distintivo, che già il senso comune interpreta come una nemmeno poi tanto velata promessa di distanze incolmabili e superiore condizione morale a mortificazione dell’emancipazione femminile ch’ebbe la sua culla nella cultura greco-latina, non era per nulla scontato che fosse letto come discriminatorio da un collegio giudicante fin qui tollerante a livelli massimi con la diversità in nome di un diritto remissivo capace di riconoscere i germi della libertà anche nelle pratiche che in concreto la respingono, pur di non compiere la fatica di un gesto inclusivo e rieducativo secondo i canoni delle moderne società sviluppate. Quasi rassegnati ad avere sempre la peggio, abituati come siamo a vedere oltraggiati gli spazi e le conquiste di civiltà che tanto sangue costarono ai nostri avi, il sussulto di vitalità ch’è venuto dai paesi punta di diamante della società aperta c’ha rincuorato e non poco a vedere l’indignazione che ha provocato nel sultano neo ottomano al quale bisogna riconoscere il merito di aver fatto crollare in poche battute comiziali, il castello incantato costruito con parole di vicinanza e solidarietà, nel quale tanti si ostinano a volerci richiudere. A ben riflettere sulla condizione nella quale si trova la nostra povera Italia e l’Europa in gran parte, dubitare della buona fede, comincia ad essere lecito: fate cinque figli, siamo noi il futuro, proclama Erdogan ai suoi fratelli e sorelle che vivono in Europa. Un crampo allo stomaco avrà preso quei pochi isolati, emarginati e spesso zittiti pensatori di senso comune, altrimenti detti populisti, che negli ultimi trent’anni provano a far ragionare le opinioni pubbliche ben educate sull’obiettivo reale ed ultimo di una invasione apparentemente stracciona ed innocua e che invece dalle stesse parole di Erdogan, si comprende potrebbe celare un progetto egemonico organico di conquista lenta ed indolore con altri mezzi che non le armi, dove soccomberebbe per deficienza tecnologica, bensì utilizzando la bomba demografica di sostituzione. La cultura progressista si è allontanata dalla civiltà umanistica e disinnamorata, le ha impedito scientemente di rigenerarsi consegnandoci nelle mani del formalismo giuridico e della finanza per i quali il tutto ed il niente posti sullo stesso piano, risultano falsamente di eguale valenza. Ecco come la democrazia, quando diventa vile, consegna le chiavi di casa ai popoli aggressivi che sospinti dal furore giovanile si sentono attori della storia e muovono alla nostra conquista. Noi europei siamo morti nelle culle senza nemmeno combattere, scrive il prof. Stefano Zecchi. Le invettive di Erdogan all’indirizzo dell’Unione Europea hanno radici profonde e lontane nel tempo, vanno ben oltre gli interessi attuali del referendum presidenzialista che si vota in Turchia ad aprile. Da oltre dieci anni Erdogan, attraverso la rete delle moschee ed organizzazioni islamiche Diyanet e Milli Gorus, finanzia la sua azione politica di islamizzazione chiamando a raccolta milioni di turchi nati in Europa tanto da farli sentire parte integrante del progetto neo ottomano di conquista. Dovesse vincere il referendum, l’Europa sarà chiamata dagli eventi a respingere il tentativo egemonico di governo sul proprio stesso territorio. I riferimenti alla guerra di civiltà evocati da Erdogan in seno al vecchio continente, potrebbero rivelarsi qualcosa di più concreto della semplice propaganda tra cinquant’anni. Una Unione Europea che non sia orgogliosa della sua storia, che non si ritrovi intorno alle sue tradizioni religiose ed alle sue culture ed arti libere, che non sappia più riconoscersi nelle sue maestose creazioni, è destinata a soccombere inesorabilmente. Per Wiston Churchill, primo ispiratore degli Stati Uniti d’Europa, ogni importante ed esiziale progetto perché fosse portato a compimento, necessitava di essere sorretto da un’etica superiore. Se occorreva, Churchill non disdegnava nemmeno la motivazione religiosa. Che fosse la guerra ad Hitler o la cortina di ferro eretta contro la diffusione dello stalinismo in occidente, non si faceva scrupolo di attingere i motivi della lotta al sentimento della Fede: la difesa della civiltà cristiana contro l’avvento di un nuovo medioevo che prometteva di durare molto a lungo.
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