Dopo l’uscita della Gran Bretagna le spinte centrifughe che attraversano l’Europa rischiano di diventare via via più prepotenti con il riacutizzarsi delle crisi economiche e sociali che attanagliano larghe fasce di popolazioni di alcuni dei paesi membri, non ultima l’Italia. L’unione così come si è andata delineando, non trova risposte adeguate a contemperare gli interessi diversificati e spesso divergenti di ciascuno degli Stati. Non è un caso se l’Irlanda ha annunciato di proporre appello contro la decisione imposta dal Commissario Europeo alla concorrenza che ha ordinato alla Apple di restituire 13 miliardi di tasse eluse decidendo di fatto del regime fiscale irlandese che il Governo nazionale invece ha interesse legittimo a conservare attrattivo dei capitali stranieri. Dalla riunificazione tedesca in avanti, l’Europa ha subito una progressiva metamorfosi tanto che l’architettura originaria di Unione tra Stati disegnata dai Trattati, non ha retto alla pratica concreta di coordinamento delle politiche strategiche comuni e si è trasformata in una sorta di associazione di Governi dove la rappresentanza legale non risiede nell’organo esecutivo della Commissione, tanto meno in quello deliberativo del Consiglio Europeo e nemmeno a parlarne in quello rappresentativo del Parlamento Europeo, ma è stata assunta illegalmente dal Governo del più forte degli Stati membri e cioè, dal cancelliere di Germania Merkel. A Bruxelles Junker e Tusk non adottano alcuna desisione autonoma ed indipendente da Berlino, gli stessi incontri propedeutici ai vertici intergovernativi ad esempio, quello prossimo in programma il 16 settembre dove si discuteranno i termini della Brexit, delle politiche migratorie e della sicurezza interna, è sempre la Merkel a dettare l’agenda che altrimenti resterebbe vuota priva com’è di proposte comuni condivise. La Germania è il solo paese in Europa che è riuscito in virtù della sua potenza economica, a tessere una rete fitta di relazioni tra gli Stati fatta di regole e dottrine tali da renderli dipendenti da essa circostanze che le permettono di perseguire al meglio l’interesse nazionale utilizzando lo strumento Europeo. A ben riflettere, frau Merkel è stata eletta dai tedeschi per i tedeschi e non già dai cittadini europei a presiedere la Commissione Europea alla quale prudentemente rinvia ogni decisione che non le garba sicura che non sarà adottata dal fido Junker. Non è difficile notare come la Merkel sia sempre bene accorta nelle dichiarazioni pubbliche. Vertici ed incontri sono occasioni propizie per diramare con toni misurati, indicazioni e direttive alla Commissione europea. Possiamo essere certi che ci accorderà la flessibilità necessaria alle spese per riparare i danni del terremoto di Amatrice e tirare fuori Renzi dalla macerie politiche del referendum costituzionale di novembre con una Legge di Stabilità generosa con gli Statali, i pensionati e gli imprenditori, ce l’ha fatto sapere nei suoi ultimi incontri di Ventotene e Maranello. Nella UE messa in piedi dalla Merkel, l’Europa infatti è divisa in macro regioni continentali dove i paesi del nord sono tenuti buoni mantenendo il rigore delle regole; i paesi baltici con le assicurazioni della NATO; i paesi del centro Europa come Ungheria, Polonia, Slovenia, con l’impermeabilizzazione dai flussi migratori ed infine i paesi del sud Europa considerati irrimediabilmente fragili perché culturalmente irrecuperabili, con l’elemosina delle spese in deficit. Come si può intuire, la vera centrale del potere continentale europeo non è Bruxelles e nemmeno a pensarlo Strasburgo, ma Berlino. Sul piano interno, la crescita di alternativa per la Germania che i sondaggi danno al 24% in rapida scalata della maggioranza relativa anche nel suo Lander elettivo del Meclemburgo dove sarà costretta probabilmente a tirare dentro la grosse coalizione coi socialdemocratici anche i verdi, l’ha indotta ad allargare un pò i cordoni della borsa. Annusata l’aria che tira e compresal’antifona che le viene dai suoi stessi elettori che le hanno fatto registrare i primi segnali di gradimento in calo dopo la diffusione dei conti dell’accoglienza saliti a circa 21 miliardi di euro, la cancelliera in vista delle politiche del prossimo anno ha deciso di aumentare di ben sei euro il reddito di cittadinanza tedesca. Pur avendo a disposizione ampi margini di manovra nella prossima finanziaria per l’enorme surplus di bilancio accumulato, è stata costretta a mantenersi bassa coi bonus ai disoccupati per evitare il rischio di disincentivare la ricerca del lavoro. Si pensi che una famiglia tedesca con due figli a carico infatti, riceve un bonus per ciascun componente anche minore e somma un totale mensile di 1.900 euro. Facile immaginare che la concessione di aumenti più copiosi ai bonus sociali garantiti dallo Stato, non lascerebbero apprezzare i vantaggi di avere un lavoro piuttosto che oziare a casa in libertà tutto il giorno. Di più quindi non poteva fare, ma è già abbastanza. L’era Merkel in Germania come in Europa non è ancora arrivata al tramonto. O usciamo anche noi, o è meglio averla Presidente. Alternative per l’Italia non se ne vedono all’orizzonte, la rete grillina fino ad ora è servita solo a trasformare i clic in tic…
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