Barcellona, quella appena trascorsa è stata una settimana di passioni sovversive e reazioni antireferendarie del Governo centrale di Madrid in nome della Legge. Nell’ordine, si sono succedute: irruzioni nei palazzi della Generalitat e nelle redazioni dei giornali; il commissariamento delle finanze del Governo autonomo di Catalogna e della polizia regionale la cui direzione, per ordine della Procura, è passata nelle mani della Guardia Civil; perquisizioni nelle abitazioni di 14 funzionari del Governo regionale incaricati delle operazioni referendarie, arrestati e poi rilasciati nelle ultime ore, si è appreso; ordinanze di divieto a manifestare; incriminazione contro ignoti per sedizione; fascicoli d’inchieste aperti su 750 sindaci per abuso di poteri e malversazione. E’ accaduto tutto quanto in sette giorni, ma erano anni che gli indipendentisti preparavano e cercavano lo scontro finale. E’ scritto nel loro programma di governo, nero su bianco. La Catalogna da lungo tempo è ostaggio di una maggioranza assembleare rappresentativa di una minoranza di cittadini, sia pure rilevante. Quelli di Madrid sono atti antidemocratici ed autoritari, le parole con le quali Puigdemont, presidente della Generalitat de Catalunya, ha provato a cercare solidarietà ed appoggi presso l’opinione pubblica internazionale trovandone poca e tra le poche, non potevano mancare di certo quelle italiane. Di queste, meritano una menzione le forze che ancora mantengono alta la bandiera dell’egoismo locale e le micro formazioni della sinistra antagonista che prendono il popolo a pretesto per ritagliarsi localmente la loro fetta di potere clientelare. Evitate guai peggiori, è stato il monito minaccioso di Mariano Rajoy, non c’è nulla di democratico nel tentativo di una fazione politica di sovvertire l’ordine Costituzionale, ha puntualizzato il capo del Governo spagnolo. Quelle spagnole perpetrate in Catalogna, sono le consuetudini proprie di uno Stato ottocentesco contro una società democratica del XXI secolo, ha provato a ribadire il portavoce dell’autonomia catalana, Turull. Parole che lasciano trasparire anche una certa dose di vittimismo, considerato che sarebbe stato impensabile non aver messo in conto una reazione legale al tentativo di rompere l’unità del paese. Se infatti è accertato che non rientra nei poteri del Governo autonomo la facoltà di indire un referendum secessionista, resta da sottolineare che gli indipendentisti non trovano appigli nemmeno nei cavilli del diritto internazionale il quale riconosce alle minoranze diritti e finanche l’uso della lingua, ma non concede ad esse il diritto di secedere e nemmeno di autodeterminarsi tranne che non si ritrovino ad essere parte di un dominio coloniale o sotto il giogo di un governo dispotico, oppressivo che pone in essere sistematiche pratiche politiche di pulizia etnica come accadde al Kosovo, la cui indipendenza dalla Serbia fu riconosciuta a seguito dei rastrellamenti di Milosevic. Attacca Madrid anche Fernando Savater, filosofo basco, professore di etica ed opinionista politico, ma per ragioni esattamente opposte a quelle degli indipendentisti. Savater infatti critica aspramente la linea fin troppo morbida del Governo Rajoy, la cui inerzia ha rafforzato il consenso di una frangia estremista che è riuscita a prendere il controllo del Governo autonomo. Savater anzi ritiene che la Legge vada applicata rigorosamente e che gli indipendentisti vadano condotti nei Tribunali, le uniche sedi appropriate dove sarà possibile infliggere al fondamentalismo catalano, una dura lezione “pedagogica” che rimargini le gravi ferite inferte alla democrazia spagnola. In nessun paese al mondo, nota Savater, ai bimbi è negato il diritto di essere educati nella lingua ufficiale del loro paese, come invece accade al castigliano in Catalogna. Oltretutto, conclude Savater, i secessionisti catalani non hanno nemmeno recriminazioni di carattere economico da poter avanzare contro Madrid, perché la Catalogna riceve il doppio dei trasferimenti dal Governo centrale rispetto alle altre aree del paese ed a fronte di tanta ricchezza trasferita, risulta la regione più indebitata di Spagna. Non accettiamo il controllo di Madrid sulla nostra polizia. Irriducibile, non rinuncia alle provocazioni di sfida il responsabile della sicurezza interna di Barcellona Joaquim Forn i Chiariello. Non c’è alternativa, osserva il prof. Andrew Dowling, coordinatore del dipartimento degli studi spagnoli all’università di Cardiff. Bisognerà attendere che sbolliscano gli animi perché le parti possano sedersi e trattare. Circa il principio dell’autodeterminazione, a parere del prof. Dowling il diritto va distinto dalla legge, ma in ogni caso, anche gli indipendentisti saranno costretti dalle circostanze a venire a patti perché in Europa i Governi li hanno politicamente isolati. Dopo la grana della Brexit ancora tutta da definire, la stessa Commissione UE non ha alcun interesse a favorire ulteriori processi di disgregazione che potrebbero risvegliare le aspirazioni indipendentiste di altre regioni della Unione in Belgio, in Italia, in Germania con la Baviera, in Francia con la Corsica e la Bretannia. D’altronde, come già abbiamo registrato anche in Italia negli anni d’oro della Lega di Bossi, la democrazia, che dovrebbe essere per definizione un momento di sublimazione della fratellanza, della unione e della concordia tra i popoli, si è insinuata invece nei movimenti separatisti come elemento propizio di innesco della rottura, quasi a pensare di poterne trarne un vantaggio qualitativo dai ranghi ridotti della stessa. A nostro avviso però, nelle istanze separatiste che minano i vecchi Stati nazione europei, la democrazia gioca più un ruolo di evocazione rassicurante del nuovo sistema di poteri che si vuole instaurare, piuttosto che un ruolo reale di aspirazione libertaria dalle catene di una oppressione inesistente. La democrazia, così come viene agitata dai moderni movimenti separatisti europei, fa pensare che essa nasconda secondi fini molto meno nobili e sicuramente più prosaici di quanto si vuole far credere. Scopi che con tutta evidenza, non meritano l’estremo sacrificio e che al massimo possono costare il prezzo di un raggiro collettivo.
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