Far politica è meglio che faticare

Cinquantamila, secondo quanto previsto dalla manovra di agosto 2011 col DL n.138 del 13-8-11 dovrebbero essere il numero di poltrone tagliate. Dovrebbero, il condizionale è d’obbligo perché immediatamente si sono alzati gli scudi delle Provincie cadute sotto la tagliola e soprattutto delle Regioni a Statuto Speciale che rinvendicano nella loro autonomia, il diritto di NON applicare le norme di semplificazione del quadro amministrativo adducendo motivazioni tanto futili quanto palesemente assistenziali a giustifica dello status quo. 1milione e 300mila sono le persone che in Italia vivono di politica senza avere altra professione o capacità di procacciarsi da vivere se non quella d’imbonire gli elettori con favori e promesse puntualmente disattese pur di strappare un seggio. Esperienza comune a tanti, da nord a sud isole comprese. Quando anche gli elettori bocciano i professionisti del nulla della partitocrazia, i trombati pressano le segreterie dei loro partiti per trovare una nuova collocazione sulle poltrone delle municipalizzate o dei municipi rionali fino a giungere al paradosso di paralizzare l’attività istituzionale pur di avere un impiego sicuro che oltre alle indennità gli permetta di continuare ad avere le mani in pasta. Anche questo è un costo della democrazia che si unisce a quello della corruzione impunita, dell’ipertrofia dei centri decisionali, dell’elevazione esponeziale delle spese per acquisti e lavori, degli agi e dei benefit immeritati, della pazienza con la quale sopportiamo da tanti lustri ogni sorta di porcheria rinunciando all’ordine del giusto. In pochi si distinguono e tra questi c’è Di Pietro che già dal lontano 1994 prefigura di tornare al suo mestiere di fattore. A 61 anni parla ancora al futuro e forse solo quando saranno altri ad avergliela arata, ci dirà ch’è il momento di ritornare alla terra.

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