Scriveva sul Roma fascista ed era contento di indossare la divisa littoria che tanto piaceva alle ragazze dell’epoca quando nel 1943 per sua fortuna, fu espulso dal GUF (gioventù universitaria fascista). Diversamente avrebbe continuato a vivere da fascista confessa, anche dopo la caduta del regime. Divenne allora un liberale appassionato lettore crociano, ma pur sempre nel solco della tradizione monarchica, la sola capace di arginare le invadenze del Vaticano che con la Democrazia Cristiana si accingeva a fare dell’Italia il suo giardino. Nella Roma occupata dai tedeschi pensò bene di trovare rifugio dai Gesuiti, per dire che certe amicizie tra atei e cattolici non nascono disinteressate. I lunghi e faticosi esercizi spirituali comunque nulla poterono, il promettente giovane rimase sé stesso. Al referendum istituzionale infatti, votò per mantenere la Monarchia, ma fu l’ultima volta che si schierò per la Corona. Subito dopo coerente e leale come pochi, capì di essere repubblicano, laico, non credente e vi aderì anche stavolta ben contento ed entusista, al punto da fondare Repubblica. Storia di un italiano come Eugenio Scalfari, di quelli colti ed intelligenti sui quali la nazione nei momenti più gravi è sicura di poter contare. Di quel tipo di italiani che fanno opinione anzi, che sono l’opinione delle maggioranze alle quali politici e banchieri dell’arco Costituzionale sono soliti concedersi in intimità: da Moro a Cossiga, da Guido Carli a Napolitano. Dei Papi abbiamo già accennato. Se Montanelli scelse di fare il giornalista perché che in ogni caso è sempre meglio che lavorare, a Scalfari il buon Totò avrebbe potuto dire: “che s’addà fà pe’ campà”.
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