La miopia delle politiche per la scuola in Italia non poteva che produrre altro che una “bolla formativa“. Una vera e propria “egemonia culturale” si è impadronita negli ultimi decenni delle politiche dell’istruzione: si è confusa la qualità con la quantità nell’ansia di raggiungere gli indici statici dei paesi nord-europei. La semplificazione dei percorsi di studi, l’eccessivo frazionamento specialistico, l’illusione che una pianificazione semplicistica dei programmi potesse contribuire alla democratizzazione dell’Università a sostegno dell’ascensore sociale, ha finito per inflazionare il mercato del lavoro e gettare nell’alienazione tanti giovani che pensavano di garantirsi un lavoro stabile e ben remunerato ed invece, il numero di iscritti alle facoltà universitarie cala sensibilmente secondo il Censis in misura quasi di rigetto rispetto alla copiosa offerta formativa che pur disboscata dalle asperità dell’impegno di un tempo, oggi i numeri rivelano non essere in grado di rispondere adeguatamente alle aspettative per eccesso di proletarizzazione intellettuale. Si è notevolmente accorciata infatti la forbice tra il reddito percepibile da un diplomato e quello proposto ai laureati per il semplice fatto che l’aver facilitato il raggiungimento della laurea ha inflazionato l’offerta qualitativamente mediocre mentre la domanda aveva bisogno di qualità e di eccellenze, in parole povere: più severa selezione. Una classe dirigente robusta e capace di innescare la crescita e far uscire la nazione dalla crisi è illusorio poterla creare promuovendo tutti indistintamente, lo stesso scenario politico è uno specchio fedele di un simile modo di procedere…
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