Siamo stati tra le poche voci a non essere preoccupate circa i pericoli di sommosse evocate di recente da quelli che opinionisti e commentatori benpensanti non hanno esitato a definire cattivi maestri e probabilmente saremo l’unica voce a denunciare la nostra seria preoccupazione per quelli che non esitiamo a definire “buoni maestri.“ C’è infatti tutta una categoria di intellettuali in Italia che gode del favore generale dell’opinione pubblica perché è capace d’insinuarsi in maniera sottile attraverso molteplici canali fino a raggiungere capillarmente uditori diversi per ceto, cultura ed età grazie a modalità espressive e lessicali solo in apparenza bonarie, ma che se approfondite e studiate con attenzione si rivelano di gran lunga più “minacciose” delle roboanti esternazioni di un cultore di Hegel. Se per esempio ascoltando un Becchi facilmente riusciamo a decifrare la sua ispirazione ideologica e l’orizzonte ultimo dei suoi ragionamenti rivoluzionari potendo quindi per tempo issare argini di contenimento ed utilizzare gli strumenti noti della contrapposizione dialettica per smontarne le tesi e rendere inoffensive le sue affermazioni, molto più arduo si presenta il compito di far emergere la potenziale portata dirompente che si cela sotto il tono affabulatorio del filosofo Giustiniani. Chi potrebbe astenersi infatti dal condannare l’uso della violenza o schierarsi apertamente tra le fila razziste per discriminare uomini e donne di colore piuttosto che incitare mariti ed amanti gelosi a commettere atti insani? Nessuno. Facile conquistare il cuore dei giovani con simili banali affermazioni di principio, ma ridurre la recrudescenza della violenza degli ultimi anni semplicisticamente a fenomeno di ordine pubblico da trattare esclusivamente in punta di diritto negando ogni altra implicazione di ordine etnico-culturale equivale a minare il campo di formazione che ha fatto dell’occidente una civiltà avanzata. Gli efferati atti di violenza crudele che hanno decapitato il soldato inglese o le picconate che hanno ammazato tre innocenti a Milano, muovevano non da rabbia sociale ma da ragioni più profonde, da inconciliabili differenze per le quali l’utopia universalista di alcuni “santi maestri” è molto più pericolosa delle baionette perché incuneandosi nelle coscienze con un lavoro costante ed ininterrotto, privi come sono di contraddittori efficaci, finiranno per avvilire l’Italia, l’Europa e l’occidente intero ed alla lunga ci daranno in preda dell’oscurantismo. In questa piccola lingua di terra protesa nel Mediterraneo dove ambiscono a venire da ogni parte del mondo, a tutti dev’essere chiaro che non ci si può permettere di venire ad imporci usi e costumi, ma che si viene in umiltà e con le buone intenzioni di sposare la nostra cultura, la nostra filosofia di vita, le nostre tradizioni e la nostra lingua e che non intendiamo cancellare secoli di storia, di lotte e di dolore per fare spazio alla barbarie.
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Sono molto grato al Blogaccio per aver voluto prendere in considerazione anche i miei commenti svolti in tono affabulatorio ma, comunque, giudicati dirompenti.
Sì, una della aspirazioni degli intellettuali è quella di essere ascoltati, di convincere almeno quattro-cinque lettori e, insieme, sperare in qualche cambiamento, si spera non violento.
Il fatto è che Blogaccio attribuisce forse ancora troppa forza ai commenti qualche intellettuale che, a mio avviso, incidono ormai pochissimo perché dispersi in una marea pressoché infinita di opinioni e proposte, mentre la massa grigia delle persone va avanti come se nulla ci fosse, preoccupata più di niente che di qualcosa… lo stesso Benedetto XVI parlava di una situazione di “desertificazione spirituale”.
Quanto poi agli incontri di masse, etnie e culture diverse, favorita, volenti o nolenti, dai processi migratori in atto (che nessun muro o mare riuscirà a fermare), mi pare che il commento di Blogaccio parli ancora, forse non più in linea con i tempi e le trasformazioni avvenute, di “nostri” e di “loro”, di terre “nostre” e terre “loro”, di pretese culture “nostre” e pretese culture “loro”… Purtroppo, ormai, non esistono né i nostri né i loro, ma gli esseri umani in cerca di nuove situazioni, nuove terre, nuove economie… soprattutto per sopravvivere meglio. Si tratta di scoprirsi tutti appartenenti alla medesima umanità, prim’ancora che esponenti di questa cultura, o nazione o etnia.
In ogni caso, grazie per l’attenzione e per lo spazio di dibattito.