Mal comune mezzo gaudio, ma i problemi sono ancora da risolvere per la Francia come per l’Italia. In entrambi i paesi la sinistra suo malgrado è al governo e quando prova ad assumere provvedimenti impopolari per ridurre la spesa pubblica mostra tutte le sue congenite fragilità. Il male oscuro viene da dentro ed affligge tanto il PD quanto la gauche. L’analisi di Jean Marie Colombani può essere un’occasione per riflettere su di un parallelismo tra la sinistra radicale che vive nel PD di Renzi e quella che sopravvive nel Partito Socialista di Francois Hollande con la differenza però che il bicameralismo perfetto in Italia ha partorito una soluzione ibrida di governabilità mentre in Francia, la Repubblique pur contemplando la coabitazione tra un esecutivo ed il Presidente di opposti schieramenti, le larghe intese sono una strada politicamente improponibile. Sono trenta i deputati socialisti all’Assemblea di Francia che rischiano di costringere Hollande allo scioglimento per indire nuove elezioni dall’esito sicuramente favorevole al versante conservatore dell’UMP. Come per l’Italia, la crisi in Francia investe non solamente il campo della politica e delle Istituzioni, ma è soprattutto economica. Il deficit è doppio rispetto al nostro anche se gli sforamenti sono tollerati da Bruxelles perché il debito non ha le proporzioni gravose come quello italiano ed anche scriviamolo, per il diverso peso specifico nello scacchiere continentale di cui la Francia tradizionalmente gode rispetto all’Italia per essere tra le potenze vincitrici della II guerra mondiale, non dimentichiamolo. L’asse franco-tedesco nasce da qui, dove la Francia è stata messa a guardia della Germania dagli USA. E’ grazie alla sorveglianza francese se alla Germania è stato permesso di crescere e diventare nuovamente una potenza economica, sia pur non militare. In un contesto di crisi economica perdurante, le contraddizioni politiche non potevano non esplodere fino ad arrivare al paradosso che il ministro dell’economia Montebourg contestava al governo la politica economica che doveva egli stesso praticare e quello della cultura, madame Filippetti che addirittura ha scritto al Presidente pregandolo di tenerla fuori dal prossimo Governo perché preferisce essere la “voce di chi non ha voce”. Che pure però avrebbe bisogno di avere un governo dal quale farsi ascoltare. Come a dire: io tra voi liberal, che ci sto a fare? In conclusione, tutto sommato nella crisi politico-istituzionale possiamo dire che a Renzi va meglio che ad Hollande nel campo interno. Pur obbligati entrambi infatti, dalla Germania, ad attuare riforme di stampo liberista, il primo si può rivolgere alla destra per avere i voti che gli mancano, il secondo no. Deve sperare che il male oscuro lo risparmi perché resti in sella. Anche una Repubblica Presidenziale evidentemente, può avere i suoi guai e le sue equazioni impossibili.
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