L’hanno chiamata civilizzazione dell’uomo moderno, ma e’ quasi un eufemismo quello per il quale si vorrebbe far coincidere una nuova civilta’ progredita, avanzata, con l’allontanamento artificiale dallo stato di natura al fine di realizzare il mondo dell’immaginario desiderato che stempera i conflitti interni dell’essere ed i conflitti esterni di comunità. Un lungo processo che ebbe inizio nel lontano ’68 del secolo breve con l’erosione progressiva dei valori che avevano garantita la tenuta esistenziale dell’io e la successiva demolizione degli attribbuti sociali a mezzo della demonizzazione delle differenze di genere per riallineare lo spirito volitivo del maschio ritenuto causa di ogni sciagura, alla portata riflessiva del femminile. A venir giu’ invece, miseramente svuotato, e’ stato il maschio effemminato archetipo della contemporaneità, preda sempre piu’ frequente di depressioni ed in crisi d’identità privato come si ritrova, di ogni riferimento vibrante all’appartenza. Dio, Patria, famiglia, onore, impunemente sottratti all’orizzonte esistenziale dell’uomo, hanno finito per depauperarlo di ogni ricchezza concessa in dote dalla nascita e povero, sembra irrimendiabilmente caduto in disgrazia. Per riaversi, uscire dalla crisi, risolvere le fragilità che lo assillano, secondo il prof. Roberto Giacomelli psicanalista junghiano, l’uomo contemporaneo deve ritrovare i suoi richiami ancestrali all’onore, alla famiglia, alla tribù, alla fratellanza di appartenenza comunitaria. In una parola, alle radici che lo hanno alimentato nel corso della sua evoluzione fino ad elevare lo spirito guerriero che ha informato l’antropologia di senso e di contenuto.
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