Nel 1979 la decisione della NATO di schierare i missili balistici intercontinentali Pershing e Cruise a difesa della sicurezza minacciata dal puntamento degli SS20 sovietici contro le capitali europee, risultò di fondamentale importanza al mantenimento della pace. L’equilibrio del terrore pur contrastato fortemente dai velleitari movimenti pacifisti, si rivelò non solamente un efficace fattore di deterrenza, ma accelerò il processo di implosione dell’intero sistema socialista disperatamente tenuto in piedi dalla sola forza militare dell’U.R.S.S. Con gli SS20 la Russia comunista si giocava l’ultima carta della sua sopravvivenza contando sull’ apporto delle opinioni pubbliche occidentali condizionate dalle sterili convinzioni pacifiste secondo le quali la resa unilaterale è la via esclusiva per scongiurare la guerra. Quella eco non ha smesso di riverberare anche ai nostri tempi ad esempio, si pensa che per sconfiggere il terrorismo si debba accettarne il ricatto e restringere la sfera delle nostre libertà espressive e di pensiero. In Italia poi le ragioni del pacifismo unilaterale trovano un naturale terreno di cu(o)ltura nella propensione a denunciare le alleanze e passare al fronte opposto pur di sottrarci alle responsabilità. Rispettare i patti e mantenere la parola data è un’opzione che opportunisticamente pensiamo di poter ribaltare e senza pagare pegno alcuno mantenere una credibilità internazionale tale da poter contare nelle decisioni che comunque comprendono i nostri destini. L’ultima prova del nostro carattere nazionale è venuta dalla canea badogliana sollevata alla notizia che una piccola forza militare simbolica italiana sarà schierata nelle Repubbliche baltiche sotto le insegne della NATO cioé, dell’alleanza che ha assicurato settanta anni di pace sul territorio peninsulare e continentale. Jens Stoltenberg, segretario norvegese dell’alleanza, si è adoperato per spiegare nel dettaglio che i motivi della decisione di mostrare i muscoli sono dettati unicamente da ragioni di deterrenza a difesa delle Repubbliche alleate dell’est sottoposte a costanti minacce dall’ingombrante vicino che ha ripreso ad esercitare una sistematica politica di egemonia ai suoi confini esterni non disdegnando l’uso della forza. La NATO ha ribadito Stoltenberg, vuole difendere la pace, e non cessa il dialogo con Mosca con l’obiettivo di convincerla a coniugare al passato il tempo di Yalta. Alle recenti “escalation” militari, la Russia non ha fatto seguire alcuna dichiarazione di intenti. Forse non sa esattamente quali obiettivi porsi. Semplicemente potrebbero essere sforzi per riconquistare il prestigio perduto. Con ogni probabilità si pensa che Putin miri ad una nuova Yalta cioé, ad una nuova spartizione delle zone dove poter esercitare la propria egemonia di potenza militare sistemica prima ancora che economica sul modello degli accordi firmati dalle potenze che uscirono vincitrici dalla II guerra mondiale. Si spiegherebbero così anche le simpatie con il candidato Repubblicano alla Casa Bianca Trump, che vuole un ridimensionamento della NATO ed il ritiro definitivo degli USA dalla scena mediorientale. E’ del tutto evidente quindi che se l’Italia vorrà sedersi al nuovo tavolo della pace est-ovest del XXI secolo e contare, non può non mantenere fede alla sua alleanza e mettere insieme una piccola Armir simbolica che vada a giocare alla guerra perché di questo si tratta, in sicurezza e nulla di più. La NATO è in fondo
una alleanza militare con basi permanenti in tutta Europa e dipende da un Comando Generale. Chi vi entra sa di venir a far parte di una alleanza operativa stretta per portare assistenza militare ai paesi membri minacciati. Ma ancora una volta l’Italia badogliana viene fuori come un sol uomo pronto a girare le spalle e svignarsela dimentica che sotto l’ombrello della NATO ha evitato di cadere preda dell’impero sovietico che l’avrebbe fatta precipitare nella miseria e nella carestia. Chiedere a Polacchi, Ungheresi, Romeni, Slovacchi, Cechi, Lettoni, Estoni, Lituani, per credere…
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