Mezzo milione di uomini, la Turchia ha il secondo esercito NATO per numero di operativi dopo gli Stati Uniti d’America, ma più di quattrocentomila sono giovani di leva sia pure prolungata per la durata complessiva di cinque anni di servizio. Una grande potenza militare di popolo dunque, non professionale, che nel tentativo di golpe per rovesciare Erdogan il despota islamista, ha pagato a caro prezzo l’inesperienza e la sprovveduta quanto fascinosa irruenza tipica della giovinezza: “abbiamo preso il potere per proteggere la democrazia e ristabilire i diritti civili”, recitava il primo comunicato emanato che inoltre prometteva la “restaurazione dell’ordine costituzionale, della democrazia, dei diritti umani e delle libertà, garantendo che la legge regni di nuovo nel Paese”. Gli insorti si preoccupavano poi di rassicurare le cancellerie occidentali precisando che “tutti gli accordi internazionali sarebbero stati mantenuti, e le buone relazioni con tutti i Paesi del mondo continuate”, infine i giovani turchi annunciavano che a capo del Governo del paese sarebbe stato istituito un “Consiglio di Pace”. Per la prima volta nella storia un esercito almeno formalmente, ha fatto registrare una dichiarazione con la quale si impegnava ad adottare uno “strumento di governo pacifico” dopo la presa violenta del potere. Hanno fallito perché non hanno arrestato i ministri e passato per le armi il Presidente, osserva Edward Luttwak, consentendogli di chiamare a raccolta i suoi sostenitori della AKP con una videochiamata rilanciata dalla TV che invece in questi casi va spenta unitamente all’interruzione di tutte le reti di comunicazione. Erdogan vuole trasformare la Turchia in una Repubblica islamica per questo motivo all’interno dell’esercito, fedele ai principi di laicità dello Stato impressi dal fondatore Mustafa Kemal Atatürk, c’è malcontento. Ironia della sorte, Obama, Merkel e Mogherini a nome della Ue prosegue Luttwak, hanno cinguettato in difesa del Governo Erdogan che per la democrazia ha un’allergia acclarata negli ultimi anni dalla chiusura dei giornali di opposizione; dagli arresti dei giornalisti; dalle restrizioni alla libertà di espressione in rete; dalla chiusura dei licei pubblici ed il conseguente dirottamento degli studenti presso le scuole coraniche; dalla costruzione delle moschee ovunque anche negli spazi pubblici; dai divieti sull’alcol; dall’ostentazione della moglie e delle figlie a capo coperto in tutte le occasioni cerimoniali di Stato per citare solo alcune delle misure simboliche messe in opera con l’obiettivo progressivo di produrre una metamorfosi Costituzionale dello Stato turco in senso religioso. Per tutta risposta alla frettolosa quanto generosa solidarietà espressa dai maggiori “leaders” mondiali, la reazione del sultano non si è fatta attendere: ha staccata la corrente alla base di Incirlik dove decollano gli aerei NATO che bombardano lo Stato Islamico ricattando lo sventurato Obama: voglio l’estradizione di Fethullah Gulen, l’oppositore politico che ha tradito organizzando il golpe dal suo esilio in Pennsylvania. Che qualcosa non torni chiaro nelle modalità con le quali è stato portato il tentativo di rovesciare Erdogan se lo chiede anche Can Dundar, il giornalista direttore del quotidiano di opposizione Cumhuriyet condannato a cinque anni e dieci mesi per aver svelato sul suo giornale i traffici della Turchia di Erdogan con Isis: un golpe strano dove il Presidente ed i Ministri non sono stati neutralizzati ed hanno potuto appellarsi ai seguaci del partito di Governo. Can Dundar segnala poi le debolezze della UE che ha dato miliardi ad Erdogan e liberalizzato i visti pur di bloccare i profughi il cui esodo invece continua comunque. Can Dundar pensa che dopo il fallito golpe, ci sarà una recrudescenza della repressione in Turchia e lancia un appello a tutti i giornalisti occidentali perché riprendano le inchieste sulle complicità con Isis e le violazioni dei diritti umani denunciate dalla stampa turca. Conferma infine di aver scritto a tutti i ventotto “leaders” europei a nome della Turchia laica, democratica, occidentale che crede nella parità di genere, ma il suo appello perché l’Unione eserciti pressioni sul Governo di Erdogan, è caduto nel vuoto. Anzi, gli affaristi che governano l’Europa hanno tirato un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo corso dal loro maggiore socio in commercio. La Turchia infatti non è solamente una potenza-militare, è anche una potenza economica dove sono concentrate molte delle produzioni delle multinazionali dell’auto per esempio, compreso gli stabilimenti dell’ex Fiat oggi FCA. Crocevia dei traffici marittimi, sul Bosforo passano quarantottomila navi merci ogni anno, la Turchia è anche il terminale più importante del petrolio iraniano e gas russo nel Mediterraneo. I militari non hanno il polso della Turchia moderna, di diverso avviso è invece Mario Giro vice ministro degli esteri italiano: il golpe è fallito perché il paese non è più quello degli anni ’70. Oggi la gente è consapevole e sceglie di testa sua. La prova è data dal fatto che è scesa in piazza disarmata contro i carri armati. Ed in effetti solamente dei giovani inesperti possono pensare di rovesciare un Governo senza nemmeno alzare un po’ di polvere. Comunque riprende Giro, anche se il colpo di stato è andato fallito, Erdogan si è indebolito, non potrà più presentare la Turchia come una grande potenza capace di reggere da sola…