Il protagonismo diplomatico dell’Italia in Libia è cosa nota e riconosciuta, ci sono i pozzi dell’ENI e la politica energetica in ballo, non vorremmo però che fosse stata la nostra vicinanza a far ammalare di annuncite contagiosa il nuovo Governo di unità nazionale che sta per insediarsi sotto l’egida delle Nazioni Unite, protetto dal generale Serra, consigliere responsabile della sicurezza nell’aria. Suonano familiari infatti le dichiarazioni di Ahmed Maiteeq, uno dei tre vicepresidenti del Governo guidato da Faiez Al Serraj dopo i faticosi accordi firmati in Marocco dalle maggi uori fazioni in lotta per spartirsi il potere ed i proventi delle esportazioni di gas e petrolio: a breve lanceremo una grossa operazione militare ed al massimo in un mese ci libereremo dell’Isis. Molti resteranno stupiti, saremo il primo paese a liberarsi del Califfo e non pago: nel giro di qualche settimana, ripartirà anche la produzione di petrolio. State pensando che qualcuno di vostra conoscenza lo abbia contagiato di facile ottimismo? Beh, anche a noi gufi viene qualche sospetto. In Libia l‘Isis avanza, è importantissimo batterla subito e se anche l’insediamento del nuovo Governo dovesse fallire, bisognerà impedire che possa riempire il vuoto di potere. Per anni abbiamo delegato agli Stati Uniti d’America i problemi del medio oriente, ora tocca all’Europa risolvere i problemi di sicurezza, l’Italia sono sicuro che non si sottrarrà alle sue responsabilità. A parlare è Norbert Roettgen, presidente della Commissione Affari Esteri del Bundestag; l’ottimismo può giocare brutti scherzi e cancellare anche la memoria storica. Parallelamente all’incremento della pressione esercitata in Siria con l’intervento della Russia a fianco del Governo legittimo di Damasco, si osserva in Libia una maggiore espansione dello Stato Islamico non solamente sulla direttrice del petrolio da est ad ovest, ma più pericolosamente a sud, dove punta ad unirsi a Boko Haram ed alle cellule jihadiste del Niger e del Chiad. La situazione si è fatta per noi oggettivamente molto critica, trovarci sull’uscio di casa uno Stato criminale volenti o nolenti ci costringerà a sporcarci le mani. Si dà per certo che sia in preparazione a Roma una missione di addestramento in previsione della richiesta di assistenza che il nuovo Governo libico farà pervenire. L’indiscrezione ha trovato conferma nelle parole dell’inviato Onu Kobler. Pacifisti ad oltranza e Costituzionalisti della prima ora finiranno per farsene una ragione d’altronde, ne varrà anche della loro stessa libertà e sopravvivenza. Diversamente a quanto avviene in Siria, il califfo sa di non avere canali compiacenti come la Turchia per trafficare il petrolio libico, mira dunque ai pozzi per interrompere le fonti di approvvigionamento finanziario delle altre fazioni libiche. Le società di gestione infatti, distribuiscono in parti uguali i proventi ai governi di Tobruk e Tripoli. Il califfo ne resta fuori, ma se riuscisse ad arrivare nelle due capitali, a pagarne il prezzo più salato saremmo noi. L’Italia non può restare spettatrice nella intrigata faccenda libica anche perché, mentre resta in attesa delle determinazioni Onu, Francia e Gran Bretagna potrebbero rompere gli indugi ed arginare con una iniziativa unilaterale le numerose forze che dall’Africa sub sahariana vengono in soccorso del califfato. Ne conviene Nicola Latorre, presidente della Commissione difesa del Senato (PD), non possiamo chiudere gli occhi e non fronteggiare gli attacchi ai pozzi quantomeno con interventi aerei. Per scongiurare l’iniziativa anglo-francese, Latorre propone di istituire un coordinamento permanente a Roma sulla Libia in accordo con Usa e Russia.
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