Uno vale uno, ma dopo Rimini a decidere restano in due: Grillo continuerà ad epurare, sarà però Di Maio a fare le liste. Cancellato il viaggio in Giappone, il più giovane dei Giggino che all’ombra del Vesuvio aspira a palazzo Chigi, ha intuito ch’era meglio restare separato, ma comunque in casa, con Fico, l’ortodosso della prima ora. Avanza infatti minaccioso un triunvirato oppositore interno che insieme a Fico annovera la Lombardi, anch’essa reduce da un periodo difficile per sua stessa ammissione, dove ha rischiato seriamente di essere sbattuta fuori dal movimento per avere pervicacemente attaccato la Raggi nella malcelata speranza di conquistare i cuori dei romani che pensa la possano condurre alla Presidenza del Lazio e Morra, l’osso duro del M5S ostinato come pochi a rifiutare il ruolo politico assegnato a Di Maio dai clic del Rousseau. Nel Movimento, Morra riconosce un solo Capo: Grillo, per le scelte che ha fatto nella vita. Accipicchia! Nella storia dello spettacolo ancora non si aveva notizia di un comico capace di fidelizzare il suo pubblico fino al punto da determinarne gli orientamenti di pensiero e le preferenze culturali. Crozza ad esempio, da quando è passato alla NOVE, più nessuno gli dà ascolto. Il vanto del M5S secondo Morra, è quello di aver abbattuto le distanze tra i cittadini e la loro rappresentanza politica: tutti possono fare politica, non c’è bisogno di un capo. Una tesi non propriamente nuova. A sentire Morra, viene da pensare che la scelta della Raggi il M5S l’abbia mutuata dalla cuoca di Lenin. Infatti Roma, la Capitale, i grillini la stanno cucinando a fuoco lento in attesa di preparare il gran finale del baccanale di Governo con l’arrivo alla guida del paese. Il portavoce designato anticipa che una volta raggiunto palazzo Chigi saranno dolori innanzitutto per il sindacato e poi per quei furbi che incasseranno il reddito di cittadinanza ed andranno poi a lavorare in nero. Il sindacato volente o nolente sarà chiamato a riformarsi perché i giovani lavoratori del web non si sentono rappresentati ai tavoli di contrattazione da gente che prende soldi a pioggia da ogni parte e gode di pensioni d’oro. Pero’. Niente male. Gli intendimenti sembrano apprezzabili se non fosse che la Camusso ha già messo le cose in chiaro: quello di Di Maio è un insopportabile linguaggio autoritario. Tutto lascia pensare che l’opposizione sociale si trasformerà in consenso nelle urne come è già avvenuto coi tassisti e gli autisti romani, dapprima minacciati e messi in riga e poi garantiti a vita senza batter ciglio. Quanto ai disoccupati la faccenda si fa un po’ piu’ complicata. Per averne il voto bisognerà trovargli qualcosa da fare che giustifichi il reddito di cittadinanza, però questa attività non dovrà essere troppo impegnativa. Giusto il tempo di una firmetta e vai, che c’è da lavorare in nero e tanto. Oggi per tirare avanti, due stipendi non bastano. Gli italiani smart lo sono da sempre, come sanno bene dalle parti di Di Maio.
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