Master in diritti umani per il legato del Califfo

master diritti umaniUn primo saggio dei risultati raggiunti dalle Università Italiane ci è stato dato dai professoroni chiamati a mettere ordine nei conti previdenziali: hanno mandato in rovina trecentomila famiglie privandole della pensione quando già non avevano alcuna possibilità di tornare al lavoro. Che non sia stato un semplice errore, ma la risultante fedele della condizione in cui versa l’Università italiana ammalata di pressappochismo facilitatore di scalate alle statistiche europee dei traguardi accademici, lo prova quella che vorrebbe essere una analisi storico-politica-economica sulle crisi nel medio oriente portata alla ribalta dal Diba nazionale sul Blog di Grillo. La tesi è di quelle predilette dagli studenti italiani più motivati, buona per raggiungere il 110 con lode, che spesso però altro non si rivela che uno stucchevole panegirico pacifista infarcito di anticapitalismo ed antimperialismo “Yankee” dallo stile un pò rètro che ricorda da vicino le inquietudini e le turbolenze dei giovani anni ’70. Tanta scienza nei rapporti tra gli Stati al nostro ribaldo giovane deve averla infatti ispirata il percorso formativo post lauream del Master conseguito in tutela internazionale dei diritti umani di cui fa menzione il suo curriculum vitae. Già nel titolo la tesina redatta con scrupoloso impegno dal volenteroso giovanotto vice Presidente della Commissione Affari Esteri della Camera, richiama il che fare interrogativo che si poneva un certo Vladimir Il’ič Ul’janov detto Lenin e che ha affascinato tante generazioni di rivoluzionari all’amatriciana. L’ideologismo non si ferma al titolo, l’intero impianto sul quale si sviluppa l’elaborato tradisce l’assunto marxista per il quale la storia dell’umanità non muove da popoli e civiltà, ma da conflitti di natura economica. Quello tra sunniti, sciiti e curdi, nascerebbe dal petrolio. Anzi, per vivere in pace a giudizio del Diba, sarebbe ora che anche l’Italia cominciasse a “pensare alla costruzione di una società post-petrolifera”. Forse per tornare alla legna ed al carbone, ma non lo precisa. Lui calcola che ci vogliono quarant’anni per uscire dalla società “petrolifera”, quindi sarebbe un bene se ci sbrigassimo. Nessuno però si è premurato nel frattempo di illustrargli il piano energetico dell’Italia che da due decenni circa sta cercando di ridurre la dipendenza dal petrolio per passare al gas, con alterne fortune perché anche in questo campo i produttori sono diventati inquieti ultimamente per cui sarebbe un bene per le future generazioni di italiani scavare più pozzi in Lucania, in Sicilia e nell’Adriatico dove per il momento si giovano della nostra assenza i dirimpettai croati succhiando petrolio a piacimento con notevole risparmio sulla bolletta energetica. Il Diba però è pure NO Triv e minaccia di salire sul tetto se solo ci azzardiamo ad uscire dal “giogo petrolifero” ed allora come la mettiamo? Studia e ripassa al DiBa vengono sotto mano gli Hippy: mettiamo dei fiori nei cannoni dell’Isis. Modo migliore per chiudere la sua tesi con bacio accademico non poteva trovare e così, anche per mettere a frutto la sua vasta esperienza di viaggiatore esperto, avanza una soluzione invisa al capitalismo internazionale: all’occorrenza lui si offrirebbe come legato del califfo che di punto in bianco rassicurato sul prezzo del greggio, deporrebbe la scimitarra, restituirebbe la libertà alle donne fatte schiave, eleverebbe preghiere alla memoria delle centinaia di migliaia di morti innocenti perpetrate, ricostruirebbe le case distrutte ai Cristiani spazzati via con cieca violenza e lo nominerebbe per il Premio Nobel della Pace al pari di Obama che se fosse stato un guerrafondaio, di sicuro avrebbe avuto il merito storico di salvare la vita a tanti Cristiani e la dignità a tante donne.

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