In sette mesi: 5 morti, decine di feriti, sparatorie, aggressioni e violenze quasi quotidiane nelle strade di Milano, ma il senso di insicurezza è diffuso in tutte le grandi città d’Italia. Le strade non sono presidiate e più alcun fattore di deterrenza agisce efficamente. Ci si affida alla tecnologia che spesso, quando dovrebbe essere utile, finisce per rivelare tutti i suoi limiti funzionali come nel caso dell’orefice di Brera massacrato nel suo negozio, episodio del quale non si dispone di filmati per un guasto alle telecamere di sorveglianza. Pensare che la recrudescenza della violenza e della microcriminalità metropolitane siano da imputare esclusivamente alla crisi economica denuncia tutta la miopia di un approccio sociologista al problema della sicurezza. Chi ha paura delle divise agli angoli delle strade? Quali minacce possono venire alla democrazia ed alla libertà dalla presenza discreta dei militari nei punti logistici più critici delle nostre città? Quanta economia sottrae agli affari il permissivismo libertario contrabbandato per tollerenza che finisce per arricchire unicamente le piccole e grandi organizzazioni del racket che agiscono indisturbate e senza freni? I paladini dell’accoglienza ad ogni costo che ciclicamente prendono fiato dopo una fortunata tornata elettorale ed amministrativa, sono consapevoli che le notizie di cronaca incutono timore nel cittadino comune al quale non resta altra difesa che rinchiudersi in casa? E la paura d’uscire di casa non è altro che una restrizione reale della libertà dei cittadini che sicuramente l’impiego dei militari in sicurezza attivamente difende e garantisce.
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