Napule è na’ carta sporca e nisciuno se ne importa, era il 1977 quando Pino Daniele scattava la folgorante fotografia in versi che a distanza di 45 anni, ancora mirabilmente coglie tutti i mille culure e contraddizioni insolute di una città ferma, immobile, sospesa ad ammirarsi riflessa nel suo sciagurato fatalismo che la vorrebbe depositaria unica e cantore superiore del senso e del fine esistenziale dell’universo mondo. Come si possa immaginare di avviare un’operazione di riordino e sistemazione definitiva per un universo tanto composito e diversificato che s’avverte pieno ed autosufficiente; bastevole a sé stesso, autarchico e congeniale; aristocratico e plebeo se in premessa non si dà prova d’incidere efficacemente nel cambiamento delle strutture chiamate ad operare per poi, in un momento successivo, passare ad esigere la maturazione di un costume nuovo? Dapprima rassetti casa, poi ritiri il bucato e lo riponi nel cassetto della oleografia nostalgica insieme al buon cuore che tanto piace ai turisti di ogni dove, soprattutto del nord Italia che scendono in riva al golfo per rinfrancarsi dalle fatiche in fabbrica e rilassarsi per qualche giorno a buon mercato, senza regole e doveri da rispettare. Io so, che tu sai che io so, ma qualcosa pur dobbiamo fare e dunque c’approssimiamo, il campo è largo ed è minato, facciamo attenzione a non pestare i piedi eppur qualcosa dobbiamo muovere, cominciamo dai panni appesi ai balconi ed alle finestre, il cambiamento è semplice e verrà subito agli occhi di tutti. In fondo, non costa poi tanta fatica. Impossibile mettere mano all’intera città. Renderla praticabile, sicura, funzionale, moderna ed europea. Efficiente, infrastrutturata ed attrattiva per gli investimenti produttivi. Una Milano di opportunità e di lavoro al centro del Mediterraneo. Un cambiamento tanto profondo quanto reale sovvertirebbe gli equilibri e del campo largo, lascerebbe solamente l’arcobaleno di festoni in bella mostra al balcone del Municipio.
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