Registriamo un fatto: le istituzioni sono deligittimate. Tutte, dalle amministrazioni territoriali agli organi di governo centrali e non esclusivamente per crisi morale, ma perché la democrazia che le informa non trova più la sua fonte negli ideali, nell’interesse generale. La rappresentanza democratica è invece determinata dagli umori del momento che maggiormente riescono a suggestionare il corpo elettorale. Non sono più le idee il motore propulsivo, ma le fortune mediatiche che questo o quel soggetto riesce a catturare puntando sull’attrattiva irresistibile che esercita nella massa degli elettori l’assecondare tendenze e comportamenti soggettivi improntati al facile mantenimento di una condizione data o raggiunta. Finanche in America la democrazia mostra le sue crepe; il fenomeno assume aspetti drammatici in Italia, ma preoccupante è la crisi che prende anche Usa ed Europa. Lungo questo piano inclinato, bisogna organizzarsi come se la politica non esistesse, bisogna sul piano sociale, economico, culturale fare in modo che la politica faccia per quanto possibile meno danni in futuro di quelli che ha già procurato. La politica è preda infatti di una inerzia estenuante per cui nulla si muove: non nasce il nuovo, non muore il vecchio. E’ divenuto il tratto distintivo del paese: blindare le posizioni acquisite. Si è determinata quindi tra la società e la politica una inimicizia insanabile per l’esigenza degli attori civili di affrancarsi dalle degenerazioni democratiche prive di visione prospettica e prendere a riferimento le nuove reti di relazioni nelle quali cittadini, imprenditori e lavoratori ritrovano occasioni di autoaffermazione.
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