Francesco l’incendiario, teologo dei dubbi e delle incertezze

Il Papa che parla male della sua Chiesa piace molto, in particolare piace a quelli che più sono lontani dalla Fede. In una certa misura a Francesco pesa essere prigioniero del suo trionfalismo mediatico, sente però di aver intrapreso la strada giusta ed ha deciso di perseverare nonostante le forti resistenze dei Cardinali che lo accusano di essersi spinto oltre il mandato di rinnovamento ricevuto dal Conclave straordinario seguito alle dimissioni di Benedetto XVI, che peraltro ha respinto alcuni Cardinali che si erano andati a lamentare presso di lui, come riferito dallo stesso rammaricato Bergoglio. Per comprendere Francesco bisogna tener conto delle sue origini latino-americane e dell’ascendente che esercita sulla sua dottrina, la cultura propria dei Gesuiti, pellegrini tra i continenti inviati da Sant’Ignazio di Loyola. La sua è una teologia della liberazione che punta all’integrità dell’uomo, depurata da ogni commistione marxista. Francesco vuole raggiungere direttamente il “pueblo”, superando l’intermediazione della Curia che l’avrebbe cloroformizzato come accaduto ai suoi predecessori. Francesco non pretende di avere una visione organica della Chiesa, più semplicemente gli interessa aprire nuovi orizzonti, appiccare il fuoco e non curarsi di spegnerlo. Fedele agli insegnamenti di Ignazio, lascia che sia il tempo a lavorare al risanamento delle ferite. Molti fedeli però restano disorientati da questo nuovo modo di essere Cristiani, molti rimangono sgomenti ed increduli ed avvertono lo sgretolamento progressivo delle certezze sedimentate nel corso dei secoli. Molti non accettano il nuovo approccio misericordioso, quasi a rendere possibile ogni cosa. Concreto è il rischio che si possa scadere nel relativismo. In soccorso di Francesco però, arriva il discernimento, nel senso di una morale che non vale per tutti, ma che viene modulata caso per caso. Oggi che i Cristiani non sono più maggioranza nelle società, il fuoco della misericordia dev’essere il segno distintivo di una vita dura, vissuta nel nome di Cristo. Francesco l’incendiario, di Gian Franco Svidercoschi, a Mix24 intervistato da Continua a leggere

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Erdogan promette di accompagnarci al suicidio assistito

Siamo stufi, vi sfido a vietare la Kippah, l’ha presa male Recep Tayyip Erdogan l’inaspettata pronuncia in punta di diritto della Corte di Giustizia europea che ha dichiarato legittimo il divieto a celare i tratti somatici sul posto di lavoro. Quel segno distintivo, che già il senso comune interpreta come una nemmeno poi tanto velata promessa di distanze incolmabili e superiore condizione morale a mortificazione dell’emancipazione femminile ch’ebbe la sua culla nella cultura greco-latina, non era per nulla scontato che fosse letto come discriminatorio da un collegio giudicante fin qui tollerante a livelli massimi con la diversità in nome di un diritto remissivo capace di riconoscere i germi della libertà anche nelle pratiche che in concreto la respingono, pur di non compiere la fatica di un gesto inclusivo e rieducativo secondo i canoni delle moderne società sviluppate. Quasi rassegnati ad avere sempre la peggio, abituati come siamo a vedere oltraggiati gli spazi e le conquiste di civiltà che tanto sangue costarono ai nostri avi, il sussulto di vitalità ch’è venuto dai paesi punta di diamante della società aperta c’ha rincuorato e non poco a vedere l’indignazione che ha provocato nel sultano neo ottomano al quale bisogna riconoscere il merito di aver fatto crollare in poche battute comiziali, il castello incantato costruito con parole di vicinanza e solidarietà, nel quale tanti si ostinano a volerci richiudere. A ben riflettere sulla condizione nella quale si trova la nostra povera Italia e l’Europa in gran parte, dubitare della buona fede, comincia ad essere lecito: fate cinque figli, siamo noi il futuro, proclama Erdogan ai suoi fratelli e sorelle che vivono in Europa. Un crampo allo stomaco avrà preso quei pochi isolati, emarginati e spesso zittiti pensatori di senso comune, altrimenti detti populisti, che negli ultimi trent’anni provano a far ragionare le opinioni pubbliche ben educate sull’obiettivo reale ed ultimo di una invasione apparentemente stracciona ed innocua e che invece dalle stesse parole di Erdogan, si comprende potrebbe celare un progetto egemonico organico di conquista lenta ed indolore con altri mezzi che non le armi, dove soccomberebbe per deficienza tecnologica, bensì utilizzando la bomba demografica di sostituzione. La cultura progressista si è allontanata dalla civiltà umanistica e disinnamorata, le ha impedito scientemente di rigenerarsi consegnandoci nelle mani del formalismo giuridico e della finanza per i quali il tutto ed il niente posti sullo stesso piano, risultano falsamente di eguale valenza. Ecco come la democrazia, quando diventa vile, consegna le chiavi di casa ai popoli aggressivi che sospinti dal furore giovanile si sentono attori della storia e muovono alla nostra conquista. Noi europei siamo morti nelle culle senza nemmeno combattere, scrive il prof. Stefano Zecchi. Le invettive di Erdogan all’indirizzo dell’Unione Europea hanno radici profonde e lontane nel tempo, vanno ben oltre gli interessi attuali del referendum presidenzialista che si vota in Turchia ad aprile. Da oltre dieci anni Erdogan, attraverso la rete delle moschee ed organizzazioni islamiche Diyanet e Milli Gorus, finanzia la sua azione politica di islamizzazione chiamando a raccolta milioni di turchi nati in Europa tanto da farli sentire parte integrante del progetto neo ottomano di conquista. Dovesse vincere il referendum, l’Europa sarà chiamata dagli eventi a respingere il tentativo egemonico di governo sul proprio stesso territorio. I riferimenti alla guerra di civiltà evocati da Erdogan in seno al vecchio continente, potrebbero rivelarsi qualcosa di più concreto della semplice propaganda tra cinquant’anni. Una Unione Europea che non sia orgogliosa della sua storia, che non si ritrovi intorno alle sue tradizioni religiose ed alle sue culture ed arti libere, che non sappia più riconoscersi nelle sue maestose creazioni, è destinata a soccombere inesorabilmente. Per Wiston Churchill, primo ispiratore degli Stati Uniti d’Europa, ogni importante ed esiziale progetto perché fosse portato a compimento, necessitava di essere sorretto da un’etica superiore. Se occorreva, Churchill non disdegnava nemmeno la motivazione religiosa. Che fosse la Continua a leggere

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Obama un incompetente; Salvini non fa paura; con Putin e Trump sarà pace nel mondo; coi Trattati europei pulitevi il sedere, tutto il Friedman che non t’aspetti…

A sentirlo parlare in TV dopo la vittoria alle Presidenziali americane e più ancora dopo la promulgazione del “muslim ban”, l’ordine esecutivo col quale Donald Trump vuole interdire temporaneamente ai musulmani di approdare negli USA per ragioni di sicurezza nazionale, c’era sembrato di capire che Alan Friedman non fosse propriamente quello che si dice un estimatore del nuovo Presidente degli Stati Uniti e che il suo liberalismo avesse radici ben piantate nel partito democratico. Scopriamo invece che il giornalista che ha trovato la sua America in Italia ritiene o meglio, riteneva, Obama un incompetente soprattutto in tema di mondo arabo anche se lui, Friedman, a noi italiani tolleranti e democristiani, lasciava intuire che tifasse Hillary Clinton per la successione alla Casa Bianca. Suo malgrado par di capire, il simpatico Alan si è ritrovato sul sentiero del successo editoriale Donald Trump e ne ha fatto di necessità virtù. Da non credere, nella intervista rilasciata a Libero, Friedman si dice convinto che il rapporto di stima tra Putin e Trump sarà centrale per gli equilibri del mondo e soprattutto sarà garanzia di pace lascia intendere, perché ciascuno dei due alla fine cederà qualcosa e tutti vivremo felici e contenti. Nella stessa intervista, Friedman inoltre regalava già ad inizio settimana, una profezia all’indirizzo di quei Sindaci barricaderi della pace che dominano il Golfo dalle rosse acque per niente chete: Salvini non fa paura, gli italiani non sono violenti come i francesi o gli americani! Tutto fa brodo sia per vendere copie, sia per prendere un clic ed ecco che anche Tommaso Aniello detto Masaniello, è bello che sistemato. E veniamo all’Europa. Pietro Senaldi gli ricorda che lui, Friedman, si diceva mister euro dagli schermi di Rai3, ora invece l’euro è diventata una moneta nata male, la burocrazia alla guida dell’Europa è insopportabile e coi Trattati europei è meglio che l’Italia ci si pulisse il culo se vuole salvarsi. La congiuntura del dollaro infatti favorirebbe a dire di Friedman, le esportazioni italiane e bisognerebbe aiutare la crescita con 20 miliardi di investimenti pubblici alla faccia del debito pubblico che Renzi non ha saputo patrimonializzare e far acquistare dalle banche approfittando del quantitative easing di Mario Draghi. L’intervista si chiude con una sviolinata all’Italia, miglior paese in cui Continua a leggere

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Deltour, rischia il ragioniere che spifferò i patti segreti di Junker con le multinazionali

La vicenda è quella passata alle cronache come Luxleaks, cioé la diffusione pubblica dei documenti segreti firmati da Jean Claude Junker sulla falsa riga di quanto aveva fatto Snowden nel caso wikileaks. I documenti di luxleaks portarono alla luce i patti nascosti con i quali le multinazionali globali stringevano accordi per trattamenti fiscali di favore in Lussemburgo, Stato membro della UE. Nel mentre che la Grecia era immiserita dalla trojka e i restanti popoli europei erano stretti nella morsa dei tagli alle spese sociali da un lato e dei pesanti prelievi fiscali dall’altro per far fronte alla crisi del debito indotta dalle politiche della Commissione Europea ispirate dalla Germania,  Antoine Deltour, sconosciuto ragioniere della pricewaterhouse coopers società di certificazione, ebbe il merito di passare alla stampa i patti segreti con i quali Junker, poi promosso dalla Germania a capo della UE, aveva fatto del granducato di Lussemburgo di cui al tempo era capo del governo, un paradiso fiscale dove le grandi aziende che operano sul mercato globale potevano porre la loro sede legale e far confluire migliaia di miliardi di profitti godendo di una tassazione al minimo irrisorio. Se oggi Junker è mantenuto al suo posto di capo della Commissione europea che fa le pulci all’Italia sui tre miliardi di debito in più a carico dello stesso bilancio italiano per volontà della Merkel, il ragioniere Antoine Deltour ha deciso di rischiare una nuova condanna in appello dopo la condizionale inflitta in primo grado, pur di non lasciar passare il principio che a svelare scomode verità inconfessabili si possa finire in galera. Motivato da semplice buonsenso civico, Deltour vuole incoraggiare i futuri potenziali delatori a lanciare gli allarmi presso l’opinione pubblica quando si ritrovano tra le mani documenti segreti che Continua a leggere

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Sentenza di Trento, a semplificare il lungo processo di adozione del minore

Si deve escludere che nel nostro ordinamento vi sia un modello di genitorialità esclusivamente fondato sul legame biologico fra il genitore e il nato. Sante parole verrebbe da rispondere ai giudici della Corte di Appello di Trento che hanno pronunciato una sentenza “storica”, riconoscendo un duplicato di paternità certificata all’estero ad una coppia di gemelli nati con la tecnica cosiddetta della “gestazione per altri”. Prevalente per i giudici, sarebbe il “diritto dei minori” di veder riconosciuto il ruolo di genitore al convivente omosessuale del genitore biologico, per la semplice ragione che questi si sarebbe manifestato ben disposto ad occuparsi dei bambini mosso dalle migliori intenzioni. Ebbene, la sentenza passerà sì alla “storia”, ma per essere la prima pronuncia di una Corte che, nel pressoché unanime consenso dei correttissimi commentatori, si abbandona alla discriminazione più scorretta degli aspiranti genitori adottivi eterosessuali i quali, per quanto siano in potenza ben disposti ad amare ed accudire bambini in stato di abbandono o di bisogno, non di rado vedono il loro desiderio represso dalla compressione del diritto del minore medesimo ad avere dei genitori, perché dichiarati inidonei dopo un lunghissimo iter regolato giustamente dalla Legge ed i cui esiti cancellano con poche righe i sogni di felicità attesa molto spesso anni, quando non lustri. In via esemplificativa, notiamo come la Legge preveda due anni di visite e colloqui periodici incessanti che seguono, nell’ipotesi più favorevole ai minori, il “decreto pre-adottivo” che in una qualche misura certifica l’idoneità e l’adeguatezza degli aspiranti genitori ad esito di stringenti esami psicologici, motivazionali, sociali e non ultimi, relazionali del contesto familiare allargato nel quale il minore andrà a vivere. Esaurita quest’ultima fase del percorso di accertamento dell’idoneità ad adottare, viene emesso il decreto di adozione definitiva che registra la piena e consapevole accettazione del minore di essere entrato nel nuovo mondo di relazioni cui era stato affidato in via sperimentale. Nel caso invece sentenziato dal Tribunale di Trento, i giudici di fatto hanno esonerato l’aspirante genitore adottivo da ogni esame quasi come a delegare il convivente, padre biologico dei minori soggetti/oggetti di diritto, alle rigorose verifiche non già per mano di professionisti ed esperti, ma assumendo come misura della necessaria valutazione di idoneità, i soli sentimenti ed orientamenti soggettivi. Dove sia il progresso della civiltà in questa sentenza, resta tutto da dimostrare. Se solo i giudici avessero voluto prendere atto dei mutamenti in corso nella società, allora non si Continua a leggere

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Trump intima alla Federal Reserve di astenersi dal trattare con la finanza apolide che distrugge il lavoro

L’America è una realtà molto più vasta di quella che ci vuole far credere la grande stampa progressista sempre illuminatissima. Basta andare oltre la V Strada per scoprire che Donald Trump gode di un grande sostegno popolare che viene alle sue politiche in tema di sicurezza e soprattutto alla lotta senza quartiere che ha deciso di ingaggiare con la finanza apolide che l’ha fatta da padrona nell’America di Barack Obama impoverendo il ceto medio. Le ragioni per le quali il sistema si è schierato e resiste come mai prima provando a delegittimare l’elezione di Trump, si possono meglio comprendere dalla lettera con la quale la Commissione Servizi Finanziari del Congresso degli Stati Uniti, ha intimato alla Federal Reserve di astenersi dal firmare Trattati e Regolamenti finanziari finché il Presidente eletto non nominerà suoi funzionari delegati con mandato che rifletta nei forum internazionali, il mandato popolare ricevuto con le elezioni. Patrick McHenry, vice Presidente della Commissione, rompendo ogni consuetudine istituzionale che vuole le Banche Centrali indipendenti, ha preso carta e penna ed ha scritto direttamente a Janet Yellen impartendo le istruzioni da seguire nei consessi finanziari internazionali con le quali Trump vuole ristabilire il primato della politica sulla finanza. Non è pensabile che Patrick McHenry, deputato repubblicano, possa aver esposto la Commissione del Congresso di propria iniziativa senza l’assenso del gruppo dei repubblicani che evidentemente è più vicino al Presidente di quanto la stampa correttissima scriva. E’ inaccettabile, si legge nella lettera, che la Federal Reserve pur messa a conoscenza della chiara volontà del nuovo inquilino della Casa Bianca di ricondurre le decisioni regolamentari di ambito finanziario ai poteri della politica, continui a negoziare con strutture segrete dove burocrati globali stipulano accordi come quelli di Basilea 3 senza informare l’opinione pubblica e consultare i decisori politici. Regolamenti che divenuti norme interne obbligatorie, hanno rallentato la crescita e distrutto posti di lavoro in America. E’ fatto obbligo ai regolatori di sostenere l’economia americana ed esaminare con attenzione in quest’ottica, gli accordi internazionali, prosegue McHenry nella lettera al Governatore della Fed. E’ di tutta evidenza quindi, come Trump abbia pestato i piedi a  Continua a leggere

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Le patate lesse che diedero l’Oscar alla pucchiacca di Benigni

Fantastico come sempre Vittorio Feltri, maestro di giornalismo. La sua patata bollente ha incenerito i maitres à penser più in voga del perbenismo ipocrita. Alle schiere delle Boldrini e dei Grasso che imperversano nelle piazze telematiche e non solo, tante le facce da culo che si sono unite senza ritegno nell’esprimere non si è capito ancora bene che cosa alla Raggi, forse la solidarietà che si deve a colei che suo malgrado è stata eletta Sindaco della Capitale? Possiamo immaginare l’imbarazzo degli stessi grillini di sentirsi stretti dall’abbraccio di Giachetti, Orfini, Mentana e le numerose altre patate lesse che levano all’etere un giorno sì e l’altro pure, il loro grido di dolore per non lasciarsi scappare l’ennesima occasione di affratellarsi finalmente ai compagni di ventura politica fin qui riluttanti, a parole, verso quel sistema scandaloso contro il quale hanno detto, urlato e scritto offese, ingiurie, volgarità di ogni risma. Ma le patate no, quando sono bollenti somigliano alle banane di Jonny Stecchino: “non nominarle che a Palermo ci tengono tanto”. Ed invece le pucchiacche sì; le patonze, le bernarde, le gnocche puoi anche toccarle in TV e vincerci un Oscar senza che alcuno abbia da ridire. E’ tutto regolare, con la pucchiacca in bocca diventi un autentico democratico, un uomo raffinato, una gloria della cultura italiana nel mondo:
Non ci resta che accettare l’invito a cena di Vittorio Sgarbi, di patate bollenti ghiotto. Gli avanza il piatto di Scanzi, che alle patate preferisce le pucchiacche e stasera digiuna: Continua a leggere

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Bertinotti, si chiama globalizzazione la rivoluzione della Sinistra che asseconda il capitale

Sinistra vuol dire lotta di classe per superare la società capitalista foriera di iniquità e diseguaglianze. La crisi attuale della sinistra nasce dall’idea di volere assecondare la rivoluzione del capitale che va sotto il nome di globalizzazione, con politiche che trovano la loro genesi nello stesso concetto borghese di governabilità, assicurata da rigide regole imposte dalla trojka il cui fallimento segna la morte della socialdemocrazia. La rivoluzione non è un pranzo di gala, ricorda Bertinotti, il quale della distribuzione della ricchezza ha saputo fare una ragione di vita, è bene rammentarlo se vogliamo capire i temi della politica politicienne, come ama definire le sue doglianze il vecchio Fausto, con incerta coerenza. Per uscire dalla sua crisi, la sinistra deve ritornare alle origini, profetizza il compagno Fausto. Nel ‘900 essa era riconoscibile, oggi invece ha divorziato dalla sua storia. Non lotta contro la destra, ma entra in competizione con questa per sostituirsi alla guida di quella rivoluzione del capitale che tutti chiamano globalizzazione. Ricostruire la sinistra secondo Bertinotti, non necessariamente significa andare al Governo anzi, le nuovi classi dirigenti nasceranno in un perimetro diverso, lontano dal potere. Verranno dal campo della ricerca teorica e dall’esperienza sociale che è propria dei movimenti che operano per l’accoglienza degli immigrati, per il diritto alla casa, per il reddito di cittadinanza. Vagheggiare una sinistra in sintonia con le classi popolari che faccia leva sulla pressione fiscale per finanziare l’assistenza gonfiando a dismisura il già altissimo debito piuttosto che guidare lo sviluppo e la crescita generata dal lavoro, finirà col marginalizzarla e spingerla nel campo delle nostalgie. Un esempio eloquente è quello offerto dalla Spagna che ha saputo mettere da parte le divisioni politiche e la crisi istituzionale per ritrovarsi unita. Oggi la Spagna registra un tasso di crescita intorno al 3% con la disoccupazione in costante calo. In Italia invece, prevalgono forze irresponsabili che mancano di cultura nazionale già nel proprio codice costitutivo e fanno della Nostra, una Continua a leggere

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Quelli che Trump c’ha visto giusto

Sono bastati sette giorni a Donald Trump per avviare a soluzione i problemi più scottanti degli Stati Uniti d’America. Tra questi, in capo alla sua agenda, i guasti sociali procurati dai dogmi della nuova religione mercantilista globale a cui tutti sembravamo rassegnati. Come aveva promesso, gli è bastata una settimana perché rendesse pan per focaccia ai delocalizzatori, cioé quei produttori che impiantano all’estero fabbriche cancellando migliaia di posti di lavoro in Patria dove però vendono i loro manufatti resi competitivi dal basso costo del lavoro nei paesi che un tempo si  dicevano in via di sviluppo. D’ora in avanti i prodotti reimportati in America saranno gravati da pesanti dazi doganali. Staremo a vedere. In sette giorni trascorsi alla Casa Bianca Donald si è fatto il segno della Croce ed ha tagliato i finanziamenti alle Ong che favoriscono l’aborto ed eliminato dal sito del Presidente la pagina dedicata ai diritti LGBT. Si potrebbe affermare che ha fatto per la Chiesa più Trump in questa settimana che tutta la misericordia di questo mondo nell’intero anno appena trascorso. Legge alla mano, ha poi bloccato per motivi legittimi di sicurezza interna, gli arrivi dai paesi dove più diffusi sono i focolai del terrore islamico smentendo la stessa opinione di chi ci vorrebbe tutti votati al martirio della Santità in nome di una malinteso criterio di accoglienza indiscriminata senza sollevare alcuna pretesa di lealtà al nostro fratello sconosciuto. Da noi in Italia sarebbe non solo impossibile attuare un così vasto programma come quello di Trump, impediti come siamo dalle Leggi e dai vincoli della UE, ma anche solamente annunciarlo. Lo sciagurato a cui venisse in mente di pensare misure concrete e rimedi ai problemi della società italiana, troverebbe innanzi a sé il muro invalicabile dei propugnatori di diritti inventati, padroni assoluti delle TV e dei giornali con affiliati ed addentellati nelle reti sociali di internet. Difficile anche solamente immaginare un Trump per l’Italia, lo spirito dei contemporanei non si adatterebbe ad un uomo coerente che non si perde in teorizzazioni fuori da ogni realtà oggettiva. Non si sono ancora spente infatti le proteste e le manifestazioni contro gli ordini esecutivi di Trump che le notizie sull’ultima strage islamista provenienti manco a dirlo dal territorio americanocertificano la bontà di scelte difficili, motivate dalla necessità di circoscrivere e fissare la minaccia a numeri già altissimi da non poter essere messi sotto controllo sicuro. E parliamo dell’America. In Europa la situazione ha assunto proporzioni che definire minacciose sarebbe un eufemismo a contare i 292 morti caduti sul campo della integrazione impossibile con culture primitive, negli ultimi tre anni. Per molti versi andrebbero commiserate. La nostra tolleranza e benevolenza imposte, gli hanno fatto compiere un salto nel tempo troppo lungo. Solamente così si può spiegare la virulenza con la quale combattono la modernità ed i costumi occidentali. Un disagio che sarebbe vissuto diversamente se Continua a leggere

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Federica Nocera, Trump è stato abile a valorizzare la sua personalità sui social

E’ stata l’abilità con la quale ha saputo valorizzare la sua stessa personalità sui “social media”, a determinare l’elezione a Presidente degli Stati Uniti d’America di Donald Trump. Una bravura tale da far scalpore e costringere anche i media tradizionali ad un’alta copertura informativa, che gli ha consentito di combinare gli esiti e battere la Clinton. E’ quanto tiene a precisare Federica M. Nocera, la ventisettenne ingegnere esperta analista della Cambridge Analytica di Londra. Alla guida di un agguerrita squadra di quattro giovani ricercatori di cui tre italiani, Federica ha saputo supportare e accompagnare alla vittoria con messaggi studiati specificamente per campioni di elettorati, il candidato meno favorito nella corsa alla Casa Bianca. Una piccola società di raccolta dati alla quale il lavoro accurato e di altissima qualità sviluppato da Federica e dai suoi colleghi scienziati italiani, ha permesso di proiettarsi ai vertici del mercato digitale della comunicazione politica. Dati a Trump i meriti che sono di Trump, Federica Nocera ha spiegato a Giovanni Minoli dai microfoni di Radio Sole24, i segreti che gli hanno consentito di selezionare i gruppi potenziali di elettori particolarmente sensibili ai temi ed alle modalità di proposta sui quali poi il candidato ha puntato la sua campagna propagandistica. Servendosi di Cambridge Analytica, Trump ha vinto la sfida pur avendo speso meno della Clinton che invece ha investito molto nei tradizionali passaggi televisivi, mezzi rivelatisi superati perché si rivolgono ad una platea indistinta di elettori e dunque meno efficaci delle moderne reti digitali. Federica Nocera e la sua squadra invece, hanno lavorato su di una raccolta dati ampia, sempre attuale, quotidianamente aggiornata da questionari somministrati sia in internet, sia via cavo telefonico. Duecento milioni di informazioni così raccolte ed archiviate, studiate e costantemente aggiornate in tempo reale, hanno consentito alla geniale ingegnere italiana di tracciare dei modelli predittivi, vale a significare a circoscrivere i gruppi specifici ed originali coi profili dei potenziali elettori ai quali il candidato ha potuto indirizzare messaggi mirati, nei momenti precisi della campagna nella quale queste proposte maturavano. Trump dunque, utilizzando i veicoli capillari delle reti sociali digitali, ha potuto parlare nella lingua di ciascuno cioé, ha pronunciato le parole che ciascuno dei suoi potenziali elettori voleva sentirsi dire. Ed ecco che subito è scattato l’allarme. Il rifiuto dei democratici di accettare la sconfitta delle urne, quasi adombra i prodomi di una guerra civile. In realtà quella di Trump è solo la vecchia storia dell’apprendista stregone sostiene Pietrangelo Buttafuoco, a cambiare sarebbero stati esclusivamente i mezzi di manipolazione delle masse di cui si serve il trascinatore di folle di turno. Al tempo delle opinioni volatili, Continua a leggere

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