E’ partito il conto alla rovescia che ci porterà alle elezioni politiche per il nuovo parlamento dei nominati, svanite le illusioni resisteranno infatti nella ridotta del listino bloccato il 30% di rappresentanti del popolo scelti direttamente dai partiti secondo lo schema di accordo sulla riforma della legge elettorale. Che i motori della macchina propagandistica siano in fase di riscaldamento lo s’intuisce dai dubbi sollevati e dai ripensamenti che da più parti pervengono sui tagli alla spesa pubblica. La resistenza delle clientele e l’elemosina dell’assistenzialismo NON si limitano a far sentire la loro voce inscenando scioperi e proteste, ma puntano dritte alla mangiatoia della partitocrazia: il consenso in cabina minacciato dall’astensionismo e dalla rivolta grillina. Se il foraggio dovesse essere per davvero tagliato infatti, i serbatoi di voti meridionali garanzia da 70 anni di approvvigionamento democratico della classe dominante si svuoterebbero, esaurendo la loro forza propulsiva ed il rischio che l’Italia si possa realmente liberare e progredire diverrebbe reale. Un errore imperdonabile che la partitocrazia siatene certi, NON commetterà. Le nostre osservazioni NON sono esercitazioni ideologiche e men che meno elucubrazioni complottiste, ma sono generate e confortate dallo scorrimento dei dati ed i numeri mal si prestano a manipolazioni di sorta. Una nazione sana, capace di darsi un governo democratico sulla base di libere e consapevoli scelte del corpo elettorale, NON avrebbe dubbi ad eliminare macroscopici sprechi come quello di mantenere una economia assistita ed una organizzazione Statuale con Comuni e Provincie da poche migliaia di abitanti o peggio, Regioni così piccole e deserte da poter essere assimilate ad un quartiere metropolitano. Il dibattito sull’opportunità dei tagli alla spesa andrebbe definitivamente chiuso con buona pace dei sindacati ed in particolar modo della Cgil di fronte a scandali come questo d’Isernia la cui Prefettura ha costi questi sì insostenibili, di ben 14 volte superiori a quelli di una metropoli come Milano. 42,34€ spendiamo pro capite per mantenere uno stipendificio provinciale di governo in una Regione dove la principale fonte di reddito è costituita dallo Stato e dai suoi Enti previdenziali. In un tempo di crisi profonda come quello che viviamo, eliminare non solamente la provincia ma un’inconsistente Regione come questa NON è più una questione di buon governo ma di sopravvivenza per l’intera economia nazionale che ha necessità di risorse produttive da investire. Nell’Europa che vogliamo costruire sempre più unita, gl’impiegati dello Stato NON possono reclamare ipotetici diritti stanziali ma devono essere pronti a fare le valigie e trasferisi altrove per conservare il lavoro e lavorare utilmente.
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