Trecentomila sono i piccoli risparmiatori italiani che hanno fatto richieste di acquisto di titoli azionari nell’offerta pubblica di privatizzazione del 40% di Poste italiane. Più del doppio quindi della quota ritagliata ai privati cittadini (27,3%), dal totale dei titoli messi sul mercato che rammentiamo, per scelta del Tesoro è stata riservata ai cosiddetti investitori istituzionali in misura del 72,7%. La risposta all’offerta dei piccoli risparmiatori si è rivelata dunque eccezionale, quasi ad affermare una volontà precisa degli italiani di riappropriarsi delle loro Poste. Così non sarà invece, martedì 27 ottobre metà di questi volenterosi vedrà andare tradita la fiducia che aveva riposto nell’azienda che più di altre forse, gli italiani identificano con lo Stato anzi, con la nazione. Sarà un sorteggio le cui modalità non sono state rese note infatti, ad assegnare le azioni di Poste italiane. Gli stessi soldi quindi, magari risparmiati dopo una vita di lavoro o messi da parte con la liquidazione, alla riffa del Tesoro saranno stati buoni per metà ad essere premiati dai dividendi assicurati nel 2015 e 2016, mentre l’altra metà evidentemente ritornerà in cassa a disposizione del Governo sotto forma di più convenienti Buoni fruttiferi per il bilancio dello Stato. Alternative dai rendimenti affidabili il mercato non offre, al momento. I risparmiatori dovranno farsene una ragione del grande successo di svendita Italia quello di Poste italiane, a cui per altro s’eravano già abituati, da Telecom in giù l’elenco è lungo. Si potevano fare scelte diverse? Certo che si poteva e probabilmente si sarebbe ricavato molto di più invertendo l’ordine di ripartizione delle quote cioè, cautelativamente riservare il 70% ai privati cittadini italiani ed ai dipendenti di Poste ed il restante lasciarlo al mercato globale. A giudicare dai numeri forniti dallo stesso Tesoro, si poteva e nulla sarebbe comunque restato invenduto. Piuttosto che vendere ai gufi, si è preferito regalare anche una quota importante di Poste ai fondi sovrani d’investimenti cinesi ed arabi (Kuwait), i soliti che già si sono comprati l’Italia migliore e più redditizia, quella delle eccellenze tecnologiche e produttive con la mediazione di sensali molti stimati in Patria ed all’estero. Sostanzialmente, il Governo italiano piuttosto che ricompensare i sacrifici fatti negli ultimi anni di pesante crisi da trecentomila cittadini-contribuenti-risparmiatori sottoposti a tagli, tasse e rendimenti zero con la cessione onerosa di una quota significativa della stessa azienda che hanno contribuito con il fisco a far nascere e sviluppare nel corso di un secolo e mezzo, ha scelto di premiare con una pioggia di dividendi sicuri per i prossimi due anni pari all’80%, arabi, cinesi e George Soros, non propriamente dei disperati. “Un successo per il paese, un ritrovato interesse per l’Italia”, sfida l’intelligenza degli italiani Francesco Caio, amministratore delegato di Poste. Ottimi infatti gli affari che gli investitori internazionali vengono a fare in Italia, gli svendiamo l’argenteria e compriamo i costi sociali delle aziende fallimentari rinunciando a piazzarle sugli amati mercati internazionali. Dove altro potrebbero andare i marpioni della finanza globale? Dove trovano un governo esterofilo, un Parlamento di trasformisti ed un popolo remissivo che li mantiene in piedi?
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