L’intransigenza non è un atteggiamento della sola Merkel, ma una convinzione profonda di tutta la società tedesca, lo testimoniano i toni duri del dibattito al Bundestag sul rigore ed il rispetto dei vincoli di bilancio europei nonostante sia più nutrita dopo le ultime elezioni, la rappresentanza socialdemocratica. Da Berlino dunque non verranno novità, i tedeschi non tengono in alcun conto il crescente disagio sociale e lasciano pochi spazi ad una politica economica alternativa promossa da Francia ed Italia. Lo stesso Draghi sembra alle corde, ha finito le poche munizioni che aveva a disposizione la BCE ed anche l’efficacia delle sue dichiarazioni scema sui mercati internazionali perché smentite e contraddette quotidianamente dai richiami di Berlino. E’ un Prodi scettico, insolitamente pessimista quello che scrive da Bruxelles dove osserva il vuoto d’autorità che si è determinato con il controllo tedesco esercitato sulla Commissione e l’insubordinazione collettiva dei paesi membri che non riconoscono più alcuna autorità a cominciare dalla stessa Germania che contravviene le indicazioni sul rientro dal surplus commerciale eccessivo che provoca uno squilibrio all’economia globale ed a quella europea in primo luogo. Senza una politica europea condivisa tra i paesi membri che invece allo stato attuale l’avvertono come una minaccia, l’Unione rischia di sparire, conclude il professore che ci portò nell’Euro illudendosi di riuscire ad europizzare la Germania. Il modello tedesco, così come in passato è potuto sembrare il modello giapponese, non sono modelli di sviluppo validi ed efficaci in assoluto osserva il prof. Giuseppe Galasso. Offrono suggestioni ed indirizzi per risolvere questo o quell’aspetto della crisi in essere, ma perché vi si possa uscire ciascun paese deve cucirsi addosso un vestito fedele alla sua fisionomia economico sociale. Il prof. Galasso coglie delle contraddizioni nello stesso modello di sviluppo economico che la Germania tiene ad imporre agli altri attori europei citando la DIW, l’Istituto Tedesco per la Ricerca Economica che nelle sue analisi sottolinea come la Germania viva di sola ricchezza accumulata mentre le sue infrastrutture dalle autostrade alle ferrovie, dalle reti digitali a quelle scolastiche, necessiterebbero di investimenti pari a 75 Mld all’anno per recuperare il divario con i maggiori competitori internazionali di ammodernamento e efficientamento logistico troppo a lungo trascurato. La carta della produttività è sembrata vincente, ma è stata giocata esclusivamente sulla compressione dei salari e la malsana diffusione dei piccoli lavori (minijobs). In conclusione, pare che “l’ora segnata dal destino batte nel cielo della” UE ed anche per Bruxelles sia giunto il tempo delle “scelte irrevocabili”.
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