Al primo accenno indipendentista, è scattata la macchina repressiva dello Stato guidata da una magistratura fiera e superba in Veneto più che altrove. Ci rallegra che per una volta, complice forse la visita di Napolitano a Mestre, la tolleranza verso chi mina quel poco di nazione che ancora circola nelle arterie della penisola sia stata ridotta a zero. Per una volta, lo Stato non si è perso in chiacchiere e non ha inibito la sua azione per far posto alla minaccia autolesionista in nome di presunte libertà accampate dai millantatori della democrazia. Per una volta l’Italia s’è ricordata di essere Italia. Monti, forte col nord e debole col sud c’ha stritolati di tasse sarà anche vero, perché i controlli fiscali obiettivamente al meridione non sono stringenti ed ossessivi come quelli effettuati a tappeto nelle regioni più produttive, ma da qui a chiamare amici degli apolidi rinnegati e suggerirgli di farsi furbi, d’infettare più di quanto non siano già inquinate le acque del PO senza ricorrere a pacchiane mascherate paramilitari per farsi beccare, ne corre di strada Mion. Si diventa complici, si porta acqua alla malapianta. Tutti sappiamo che dobbiamo cambiare questo sistema partitico che piaccia o meno all’uomo del Colle nato e cresciuto e vissuto nel partito, ma la Patria no, non possiamo rinnegarla, finiremmo dove eravamo secoli addietro: nelle terre di nessuno. Il referendum indipendentista regionale consultivo proposto da Zaia è una mossa astuta che serve alla Lega per riprendere fiato, ma forse non sarebbe una cattiva idea tenerlo, lasciare che siano le genti venete a mettere la parola fine su di un equivoco che va avanti da troppi anni e che si regge sull’equazione impossibile “nord=not Italy”.
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