La parola d’ordine deve essere quella di difendere l’insegnamento, la ricerca, che sono la ragion d’essere dell’università. La migliore risposta a tutti coloro che, con le loro azioni, negano la piena libertà di pensiero e di azione su cui facciamo affidamento scrive Barthélémy Jobert, Président de Paris-Sorbonne. Se non impariamo a difenderci dall’islam stragista, la democrazia deperisce.
Continuare a pensare che la civiltà prevale automaticamente nella storia, si rivela un principio vuoto di fronte ai molti giovani naturalizzati delle periferie europee, disposti a morire per la fede. Sotto le bombe e davanti ai colpi dei kalashnikov, anche gli studenti della Sorbona finiscono per arrendersi. Comprendono che devono scuotersi dall’inerzia e rivedere la cultura alla quale si sono formati: ripongono i fiori nei vasi e si dicono consci di dover combattere per la libertà. La pace è un lusso che non possiamo più permetterci rassegnata, ammette Valeria 28 anni, dottoranda in storia. Tra gli studenti della Sorbona, l’inazione è divenuta una condizione insopportabile come naturale che sia. Ogni giovane che vive consapevolmente il suo tempo, non è disposto a subire il terrore e lo rifiuta. Se per un verso i giovani della Sorbona ritrovano l’amor di Patria ed il coraggio che serve per difenderLa, dall’altro scoprono di essere soli: l’Europa arretra sul fronte parolaio, e si dilegua sui campi di battaglia e dell’intelligenze, quando invece sarebbe necessaria una chiamata alle armi proprie che solamente scrittori, intellettuali, operatori dei mezzi di comunicazione hanno a disposizione per portare una coraggiosa controffensiva senza reticenze, ipocrisie e riserve, sul terreno della verità storica che aiuti l’islam a liberarsi dall’ignoranza ed a superare il vittimismo auto assolutorio chiedendo conto dei troppi perché che restano sospesi nelle società dove assume ed agisce con un ruolo egemone fortissimamente identitario. Ci tocca invece assistere ad intellettuali sempre pronti a scattare quando non si approva in tempo una legge che regoli le unioni gay a Roma, ma che poi ammutoliscono e non incalzano l’islam cosiddetto moderato sulle impiccagioni delle adultere a Teheran piuttosto che la lapidazione delle fedigrafe a Riad. Giornalisti e conduttori televisivi sempre pronti e puntuali sui temi dei diritti e delle libertà poi dimentichi, non chiedono all’islam cosiddetto moderato, il perché non si possa costruire una chiesa in Arabia Saudita; il perché non si possa dare mostra all’arte; il perché non vi sia una pubblicistica che vada oltre i protocolli dei savi di Sion. Se si impegnassero a liberare l’islam dall’ignoranza e lottassero contro l’analfabetismo dei suoi giovani, con ogni probabilità disinnescherebbero il retroterra culturale di tanti che anche in Europa abbracciano la fede armata.
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