Il nazionalismo è il collante che tiene unita la Russia ed ha garantito dopo Boris Eltsin, il potere di Putin. I piani politici egemonici dell’ex agente del KGB, da sempre puntano con determinazione a riportare nell’orbita russa l’area geografica delle Repubbliche che ritrovarono l’autonomia e l’indipendenza dopo la disgregazione dell’URSS. Le vicende della Georgia, della Crimea, il protettorato siriano stanno a dimostrare che la Russia non intende in alcun modo concedere che ci si avvicini ai propri confini e dopo la rivoluzione di Maidan e la conseguente caduta del governo filorusso, è toccato appunto all’Ucraina, la “piccola Russia” di confine, vedere minacciata la propria integrità territoriale. Contro l’avanzata slava, Yatseniuk è venuto a chiedere aiuto all’occidente, ma ha capito che fondamentalmente gli ucraini rimangono soli, Usa e Ue minacciano sanzioni che con ogni probabilità non riusciranno nemmeno ad arginare o contenere l’espansionismo dell’orso russo. Con le promesse di assistenza economica e sicurezza, Eltsin ottenne che gli arsenali sovietici dislocati in Ucraina fossero smantellati, il risultato è stato che senza un deterrente la sicurezza e la pace rimangono confinate tra le buone intenzioni. Non c’è autonomismo o federalismo di marca ucraina per le regioni russofone che possa reggere il panslavismo della nuova Russia deciso a riportare sul Dniestr i confini occidentali. Putin ha saputo attendere che le condizioni internazionali diventassero propizie: Regan è morto ed alla Casa Bianca non abitano più i Bush, ma ci dorme Obama; L’Europa non è ancora nata e gli Stati che dovevano partorirla sono energeticamente dipendenti dal gas siberiano, per non parlare dell’Italia piccola e fragile, svirilizzata dall’andreottismo di ritorno di un governo che si tiene con lo sputo del pacifismo unilaterale e come un sensale beffeggiato senza bastone al tavolo delle trattative, lascia i suoi militari prigionieri in terra straniera.
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