Libia, anche se le milizie di Misurata hanno riconquistato Sirte non c’è da farsi soverchie illusioni. L’esperienza insegna che tutto quanto accade nel mondo arabo, volge di fatto al pessimismo.La situazione rimane complessa ed intricata, il quadro da ricomporre estremamente incerto. La roccaforte dello Stato Islamico in Libia è stata espugnata con l’intervento aereo decisivo degli USA richiesto dal Governo di Tripoli riconosciuto dall’Onu e guidato da Fayez al Sarraj il quale di buon grado vede anche la presenza sul terreno delle forze speciali inglesi, americane ed italiane. Non sono però dello stesso avviso le fazioni islamiste dei fratelli musulmani. Sul terreno libico c’è poi la Francia che se ad ovest appoggia il Governo Serraj, ad est schiera le sue truppe al fianco del Governo laico di Tobruk guidato dal generale Khalifa Belqasim Haftar alleato dell’Egitto e mollato dall’Italia preoccupata di tutelare gli investimenti degli impianti estrattivi concentrati nell’area sotto la giurisdizione di Tripoli. Si calcolano in 150 miliardi gli interessi in gioco e sarebbe un bene soprattutto per l’Italia che la Libia riprendesse le esportazioni di greggio e gas. Allo stato attuale la liquidità che circola nel paese viene in gran parte dal traffico di esseri umani dal quale attingono per finanziarsi le stesse milizie di Misurata nominalmente fedeli al Governo Serraj, ma che in concreto dettano legge come tutte le altre fazioni armate che controllano le realtà delle “città-stato” nelle quali s’è frammentata l’odierna Libia. Non va trascurato che le milizie di Misurata sono islamiste e non laiche, ragione per la quale è lecito pensare che in futuro daranno non pochi problemi nel dar vita ad un eventuale processo di stabilizzazione democratica del paese. In ogni caso, la ritirata da Sirte non significa che l’intero territorio libico sia stato bonificato dallo Stato Islamico che infatti ancora mantiene direttamente il controllo di diverse province chiave: le coste libiche dai confini delle installazioni petrolifere 40 km ad ovest di Sirte fino ad Al Sidr, l’area di Tikah a sud di Bengasi, la costa compresa fra Battah e la periferia di Derna. Inoltre governa ancora Sabratah e poi Ra’s Ajdir sul confine tunisino. Nell’interno, tiene numerose roccaforti; la provincia più vasta si trova nella zona di Bani Waled. Un intervento militare ad ampio raggio sponsorizzato dall’ONU appare inevitabile anche perché, prevedibilmente i combattenti dello Stato Islamico non si disperderanno, ma andranno a concentrarsi nelle vaste aree di confine a sud del paese, con l’obiettivo non solamente di trovare rifugio, ma di attestarsi e costruire nuove basi in grado di controllare indirettamente l’infrastrutture energetiche e la vita stessa delle città costiere. Giova ricordare che il 70% della popolazione libica dipende dall’acquedotto più grande del mondo che si snoda lungo 4000 km portando 6 milioni di metri cubi di acqua al giorno da sud a nord attraverso due canali paralleli che partono dal Fezzan e da Kufra e le tubazioni interrate in calcestruzzo possono essere facilmente interrotte in un qualsiasi punto del percorso. Il paese dunque è estremamente vulnerabile e per nulla pacificato, gli enormi interessi economici in palio alimentano l’instabilità politica e la discordia tra le fazioni rivali. A corto di liquidità, il Governo Serrraj di recente ha firmato un accordo con le “milizie petrolifere” che controllano i giacimenti, per far ripartire l’estrazioni da tre pozzi in Cirenaica in cambio s’impegnava a riconoscere loro regolari stipendi, ma alla notizia degli accordi le milizie di Bengasi hanno minacciato di colpire i pozzi e si sono registrati scontri cruenti nel porto di Zueitina. Si comprende bene dunque come restare neutrali in Libia appaia sempre più un’impresa ardua se non impossibile. La sfida globale del terrorismo islamico ci minaccia da vicino, diventa pertanto una necessità quella di riuscire a tenere insieme i principi Costituzionali e lo schieramento operativo di strumenti tempestivi idonei a garantire la difesa della democrazia. Lo stesso Serraj ha confermato di tenersi costantemente in contatto con Roma con la quale ha concordato un piano di consolidamento del suo Governo che prevede lo spiegamento di 1000 uomini a presidio dei pozzi la cui ripresa estrattiva è esiziale per ricostituire la liquidità e finanziare adeguatamente l’opera di ricostruzione dell’Autorità Statuale.
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