I problemi di alcune banche ed i problemi di deficit o debito eccessivo di alcuni Stati, NON devono impedire alla BCE di normalizzare la politica monetaria interrompendo a marzo 2017 come da programma il QE, rialzare i tassi e stabilizzare i prezzi. La Bundesbank di jens-weidmann non fa mistero dell’opposizione a Mario Draghi ed alla politica del denaro facile che fin qui ha tenuto in linea di galleggiamento l’economia italiana rastrellando titoli di Stato ed Obbligazioni a rischio. Quanto all’accusa mossa da più parti alla Germania di accumulare un enorme surplus di bilancio fatta propria dal ganassa per riaccreditarsi presso l’elettorato in vista del referendum costituzionale, Weidmann taglia corto: è ingenuo pensare che una politica di spesa tedesca possa avere ricadute positive sugli altri Stati della UE. L’Italia deve proseguire sulla via delle riforme strutturali le sole che possono creare condizioni favorevoli alla crescita. Prioritario è ridurre l’enorme debito pubblico che con il rialzo dei tassi rischia di diventare insostenibile. Un avvertimento chiaro e forte. Anche sul nostro deficit Weidmann conferma che Berlino ci mantiene sotto osservazione: non si è abbassato per i tagli di spesa afferma, ma perché avete pagato meno interessi grazie al QE. Insomma, a voler insistere sugli ideali europei ed a non voler uscire dall’euro, c’aspettano tempi duri e guai seri forse peggiori di quelli passati. Il muro di belle-chiacchiere che ha sostenuto fin qui l’Europa sta per crollare. La crisi del debito Greco, la Brexit, l’invasione di migranti sulle coste italiane sono i campanelli di allarme che facciamo finta di ignorare. L’Europa è percepita dai cittadini europei come una minaccia, una sovrastruttura di stampo leninista che impedisce e vieta. A parlare in questi termini non è un leader populista della destra francese, olandese piuttosto che italiana, ma Fitoussi, economista kenesiano di provata fama progressita. L’attacco distruttivo portato all’economia della Grecia fino al culmine raggiunto con la Brexit, dimostrano le ragioni di quanti sostengono che l’Unione Europea è giunta ad uno stato di decomposizione avanzata irreversibile perché le scelte di gestione non sono affidate ad istituzioni di tipo politico che agirebbero per loro natura nell’interesse esclusivo e proprio della Unione medesima, ma sono delegate per surroga ad una tecnocrazia clientelare di cultura ibrida nel senso che arriva ad occupare i vertici per meriti di mera fidelizzazione nazionale e si autolegittima solo grazie all’implementazione di sciocchi algoritmi ispirati ad un liberismo che nelle intenzioni dovrebbe accreditarne l’imparzialità. L’Unione europea ha funzionato finché è restata un blocco di mercato chiuso, ha iniziato a morire quando invece ha preteso di coniugare l’ideale ispiratore alla globalizzazione osserva Geminello Alvi, scrittore, giornalista ed economista italiano noto critico dell’euro fin dal 1998, tra i pochi ad aver intuito i rischi derivanti dall’adozione di una moneta forte per un paese come l’Italia che deve gestire un debito sproporzionato rispetto alla sua fragile economia alla quale veniva sottratto uno strumento vitale come la svalutazione competitiva che incoraggia e sostiene la crescita in tempo di crisi. Gli stessi teorici interessati all’anarchia globalista dalla quale traggono immensi profitti, riconoscono come l’allargamento delle diseguaglianze sociali e l’attacco al benessere delle classi medie minacciate dalla concorrenza diretta di economie a bassi costi di produzione, nell’ultimo anno abbiano fatto registrare il ritorno a misure protezionistiche che hanno rallentato il commercio mondiale tanto da indurli a pensare che forse la sciagurata globalizzazione si sia avviata sul viale del tramonto. Meglio tardi che mai. In questo mondo messo sottosopra dalla economia globale, non c’è altro mezzo democratico per decidere a chi tocca decidere che l’appello al popolo, il referendum. La Brexit ha dimostrato che tante sono le persone che rifiutano di essere forzate ad accettare modi di convivenza lontani dai loro stili di vita e per giunta imposti con editti di anonimi burocrati. A scriverlo è Roger Scruton, filosofo e docente inglese al quale viene da pensare che l’avversione allo strumento di consultazione referendaria denunciata dalle élite finanziarie europee sia il sintomo inequivocabile che esse non credano fino in fondo nella democrazia. I Trattati di Roma con l’espediente ingannevole della sussidiarietà, hanno finito per esautorare gli Stati della Sovranità popolare potendo regolamentare nel nome del mercato ogni aspetto della vita sociale interna di uno Stato membro senza l’obbligo di rispondere politicamente degli errori commessi. Nelle democrazie le leggi cambiano e si adattano alle contingenze dei tempi, anche le Costituzioni si evolvono, ma quando si pretende di legiferare a mezzo di Trattati internazionali che restanobloccati ai principi anacronistici le cui istruzioni devono essere seguite dai firmatari senza possibilità alcuna di modifica, la vita democratica degli Stati si cristallizza e ristagna portando gli stessi alla catastrofe. Esattamente quello che sta accadendo alla UE guidata da una Commissione irresponsabile di anonimi funzionari. Come sia possibile immaginare di poter fare l’Europa unita con Junker e Mogherini lì dove anche una personalità come Napoleone fallì?
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