una città per cavalletto, mostra permanente del putinismo

Com’è umano lei! Avrebbe esclamato il mai dimenticato tragico Fantozzi al cospetto del destinatario di un mandato di cattura spiccato dalla Corte Penale internazionale  per crimini contro l’umanità e dopo che ha fatto fuori anche l’ultimo oppositore dissidente, Alexei Navalny. Sì che merita una stretta di mano! Ci mancherebbe. Quale onore. Che tutti possano ammirare, l’uomo alla cui porta di casa l’occidente malvagio abbaia piuttosto che arrendersi e gettare ponti di dialogo per la pace. Parole sante rivolte ad ammonire noi tutti, poveri peccatori che ancora pregavamo perché San Leone Magno si parasse davanti a fermare Attila, con la sola minaccia delle fiamme eterne dell’inferno. Parrebbe, invece che l’inferno sia vuoto, che le fiamme siano spente dalla misericordia dei pavidi e che non resti che porgere l’altra guancia all’umano Vladimir di tutte le Russie. Che almeno Dio, ce la mandi buona.

Un saggio delle condizioni di esaurimento e prostrazione nelle quali è ridotto l’asfittico mondo dell’arte e della cultura italiana e segnatamente quella fucina del sapere che dovrebbe essere l’università, ci viene offerto quotidianamente dagli schermi televisivi anche in prima serata, quindi difficilmente ci si poteva aspettare altro dalla nostra meglio gioventù in giro per il mondo e che da quei maestri così tanto bene è formata ed istruita. Che, però una metropoli della civile ed avanzata Europa visitata da milioni di turisti ogni anno, si determinasse a fare da cavalletto alla puerile personale d’arte di strada fino a trasfigurare l’intera città in una sorta di mostra permanente di quella egemonia culturale esercitata a forza di sovvenzioni pubbliche eppur sempre negata, destasse qualche legittima riserva negli scettici che si avvertono scrutati ad ogni angolo di strada dagli sguardi intrusivi degli eroi terzomondisti fuori contesto, era pur comprensibile. Finché il pensiero ostinato e contrario non ha potuto far a meno di raggiungere il suo terminale naturale sulle tavole del “Bol’šoj” ad abbracciare Putin. D’un tratto tutto è stato chiaro. La guerra e la pace. L’arte ed il tradimento. Ogni dubbio ha trovato risposta. Ogni patacca spacciata per autentica ispirazione ci è stata disvelata. D’ora innanzi, di diritti in buona fede sarà difficile parlarci se prima non si riequilibria la questione culturale e si rimette a posto ogni spazio al merito di ciascuno con pari dignità.

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