C’è un tizio, un ex sindacalista che lavora per lo Stato e pensa di essere un professionista autonomo. Vado via minaccia, se solo lo Stato si permette di ridurmi lo stipendio che per la cronaca ammonta a 873.666 euro all’anno cioè, 291 volte lo stipendio medio di un impiegato. Vai, di certo non sarà lo Stato a trattenerti, sarebbe dovuta essere la risposta piccata di un Governo riformatore serio deciso a tagliare gli sprechi e cancellare gli abusi che c’hanno fatto precipitare in una crisi profonda economica e morale, senza precedenti. Invece no, il Governo si è subito affrettato a rassicuralo tanto che rincuorato, il nostro capitano d’impresa si è subito sentito in dovere di correggersi: mi fido di Renzi. Il cavillo melodioso che con ogni probabilità ha convinto il capitano coraggioso delle ferrovie a non abbandonarci, dev’essere stato quello per il quale le aziende pubbliche emittenti titoli, non rispondono alle Leggi, ma al mercato ed in ragione della loro autonomia possono determinare i compensi della dirigenza, liberamente. La contraddizione che si coglie è però nota a tutti, tranne che al Governo ed ai diretti interessati: se queste aziende falliscono NON portano i libri in Tribunale, ma a Palazzo Chigi dove qualcuno, coi soldi del contribuente le ricapitalizza. Infatti Caio predecessore di Tizio, aveva lasciato un buco da 2,1 mld ed era andato via con una liquidazione di 8 ml. Poi a capo delle FS è stato messo un Tizio bravo ingegnere, lo Stato ha investito miliardi e gli ha regalato le tratte dell’alta velocità sulle quali il treno praticamente viaggia da solo, anche senza macchinista ed il bilancio delle ferrovie italiane è ritornato in utile. Il Tizio che nel frattempo si è montato la testa, pensa di essere diventato un grande capitano d’impresa e di poter stare sul mercato offrendo la propria opera alla concorrenza per cui ritiene di fare un piacere al contribuente italiano che lo mantiene sulla poltrona delle FS col misero stipendio di 873.666€ quando il suo omologo francese non va oltre i 250.000 euro. Un Governo democratico e riformista lo avrebbe già lasciato libero di procacciarsi un lavoro meglio remunerato, ma il Governo italiano invece, come una amorevole mamma si preoccupa e subito si è affrettata a spiegargli l’equivoco: vedi caro, a noi non importa che l’azienda di servizio pubblico affidata alle tue mani pur producendo utili coi miliardi del contribuente, non fa investimenti sulle reti ordinarie abbandonando al suo destino di sottosviluppo il mezzogiorno d’Italia. A noi poco interessa se la Sicilia e la Sardegna non hanno strade ferrate o se s’impiegano 5 ore e 44′ per percorrere 190 km da Campobasso a L’Aquila alla mirabile velocità di 33 Km orari. Tutto sommato a noi poco interessa se per giungere a Napoli dall’Aquila s’impiegano 5 ore e 26′ dopo aver fatto tappa a Terni e poi a Roma. Tanto meno possono essere influenti per lo sviluppo del paese le 4 ore e 45′ impiegate per raggiungere Napoli da Bari dopo aver fatto tappa a Caserta. A noi Governo Italiano interessa che le Ferrovie restino sul mercato e possano farti felice con uno stipendio da “top manager” che hai strameritato in questi anni alla faccia di tutti quei poveracci che tirano la cinghia con 1200 euro al mese per raggranellartelo in tasse…
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