La Grecia NON ha i soldi per pagare la rata da nove miliardi di rimborsi che scade a maggio, chiede un rinvio, ma la Germania batte i pugni, fa pressione su Atene perché completi il pacchetto di riforme strutturali mentre la trojka ha bloccato la tranche di aiuti che erano previsti per dicembre 2013. Con stipendi tagliati del 35%, un PIL crollato del 25% e la disoccupazione al 27% la Grecia non è più in condizioni di tagliare alcunché. Francia e Germania hanno tenuto un vertice segreto per decidere sul da farsi circa una seconda inevitabile ristrutturazione del debito. Se per la prima è toccato agli investitori privati rinunciare al 70% dei loro crediti, questa volta toccherà al FMI, Fondo Salvastati e Banche Centrali accollarsi le perdite e cancellare il debito. Una evenienza che rischia di rimettere in discussione la tenuta stessa dell’euro. Alle porte poi arrivano le elezioni e tutti i sondaggi danno le forze anti europee in forte crescita, saranno sicuramente rappresentate massicciamente nel nuovo Parlamento di Strasburgo. A sessant’anni dal Trattato di Roma l’UE sembra essere per la prima volta di fronte ad un bivio che tra le possibilità annovera anche le ragioni di uno scioglimento. Dopo l’allargamento ad est, l’Europa sociale ha ceduto progressivamente il passo alla mondializzazione ed il suo spazio è diventato un strumento della concorrenza globale spiega il filosofo francese Etienne Balibar. L’Unione non ha più contemplato il mutuo soccorso, ma ha deciso di affidarsi alle istituzioni finanziarie internazionali per riparare i guasti dei paesi in difficoltà e queste hanno trattato le nazioni europee dell’Europa meridionale alla stregua del terzo mondo. Il risultato è una Europa divisa in ricchi e poveri dove alcuni, vedi la Germania, hanno tratto il massimo vantaggio finanziandosi a tasso zero ed esportando nel mercato interno continentale grazie ai costi competitivi indotti da salari più bassi percepiti nei lander orientali. Una simile costruzione nella quale si assiste a paesi che sfruttano altri paesi, non può reggere e l’Europa rischia seriamente la dissoluzione continua Balibar. Che cosa possiamo aggiungere di nostro a questa disamina della crisi europea? Innanzitutto un primo dato positivo ci sembra la posizione antimodialista maturata da una certa gauche européenne da sempre internazionalista, che oggi scopre i danni di una visione universalista ingestibile per le troppe differenze ed i tanti interessi coinvolti, se non a prezzo di un catastrofico regresso culturale prima ancora che sociale ed economico. In secondo luogo, facciamo nostro un suggerimento del vecchio Tremonti che dalle parti di Bruxelles era visto come il fumo negli occhi e che invece pensiamo sia la difesa più efficace perché lo spazio europeo non continui ad essere terra di conquista del mercatismo mondialista e cioé, feroci dazi doganali su tutti i prodotti provenienti dai paesi che hanno fatto della concorrenza sleale la misura del loro successo economico: Cina, India, le tigri del sud-est asiatico. Basterebbero pochi mesi all’Europa per ritrovare tutti insieme il posto che meritiamo nell’economia e sarebbe quasi certamente un grande aiuto per le masse lavoratrici sfruttate nei paesi che dalla globalizzazione dei commerci, hanno tratto vantaggio esclusivo per le sole oligarchie dominanti.
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