Lo spazio UE che nasce come area di libero mercato, innovazione e progresso, ha finito per mano dei suoi ideologizzati burocrati palesemente condizionati dalle politiche dei Governi egemoni che tengono in scacco l’Unione e ne orientano le direttive, per trasformarsi in un continente di consumatori dipendenti dalle importazioni. Nel nome della competitività e del rigore, feticcio dell’ordoliberismo, dopo aver rarefatta ogni potenzialità industriale e produttiva, l’Unione Europea si è ridotta ad organismo regolatorio di ultima istanza. Sostanzialmente, l’Europa non si cura più del destino della sua classe lavoratrice, ma è diventata il cancelliere del mercato votato alla redazione di dettagliati regolamenti che nel campo delle moderne tecnologie ad esempio, già alla promulgazione, si rivelano superati dall’impetuoso avanzamento tecnologico che pur vorrebbe regolamentare e mettere sotto tutela. Una rincorsa affannosa che a ben vedere ha declassato il vecchio continente, quello stesso che un tempo, nemmeno poi tanto remoto, seppe scrivere da protagonista la storia. Oggi l’Europa non inventa, non fabbrica, non produce più nulla. Compra dall’Asia e dall’America così impoverendo intellettualmente le sue masse che perdono in capacità, abilità e conoscenza.
In parole semplici: stiamo diventando i nuovi analfabeti del terzo millennio. Quelli che si ripromettono di abbandonare il lavoro produttivo e campare di rendita finanziaria. L’idea di scuola per la quale gli affari e nello specifico i pessimi affari, possano cambiare corso alla storia e rovesciare sul lungo periodo i sistemi politici neoimperialisti e totalitari sollevando un afflato di umanesimo universalista, come ogni altra utopia ispiratrice del bene finisce per fare i conti coi fatti degli uomini e le contigenze che si determinano dalle azioni dissimulatrici dell’odio e della disistima
Ha del clamoroso la smentita della fin troppo ingenua teoria liberale della competitività come si professa dalle parti di Bruxelles, cui stiamo assistendo in presa diretta. Il libero scambio e le condizioni privilegiate di sviluppo indotte dalla rimozione dei confini che va di pari passo con la fiducia mal riposta, non hanno per nulla salvaguardata la pace in Europa anzi, il libero scambio ha di fatto finanziato le mire espansionistiche della Russia; sostenuta la crescita della Cina che ha potuto trovare sbocchi ai suoi volumi di produzione e capitalizzare l’impresa colonizzatrice della nuova via della seta; fornito un alibi ai cosiddetti paesi frugali
del nord per ergersi in cattedra ed impartire lezioni di economia che se anche avessero avuta un’etica ispiratrice, i fatti ci raccontano che fosse quella dell’impostura egemonica piuttosto che del merito calvinista quale si vuol far credere. E’ accaduto col gas russo importato da Berlino a basso costo ed i surplus di bilancio accumulati con le esportazioni verso la Cina che hanno regalato ai paesi dell’Unione oltre dieci anni di rigore e stagnazione economica; impoverimento del lavoro; scadimento delle condizioni generali di vita delle classi medie; disperazione sociale delle classi popolari. Arricchita una sola nazione!
Quella che oggi senza il gas russo a costi di favore; col rilancio degli investimenti pubblici del PNRR, vede la propria crescita crollare e la famigerata competitività andare a farsi benedire sulla via della seta interrotta dalla guerra in Ucraina. Certo che il lungo ciclo del primato di bilancio sostenuto dalle politiche mercantiliste in uno alla compressione dei consumi interni, è stato bello per la Germania. Le ha consentito di attraversare a gonfie vele la crisi del debito seguita al crollo di Lhemann brothers. La connessione in seta con la Cina è fondamentale non lasciarla cadere ed ecco, che di fronte ai dazi feroci cui sembra si sia convertito anche Biden, la Germania pensa ancora una volta di cavarsela dall’alto della sua autorevolezza economica e pur di uscirne vincente, non esita ad operare come nel 2011, nel mentre manteva sotto ricatto “spread” i paesi mediterranei della Unione perché tagliassero i bilanci delle spese (sanità in primis, chiedere ai bimbi greci. Fonte Fubini, Corriere della Sera), coprendosi col cappello della Unione Europea. Oggi, 2024, ancora una volta nell’esclusivo interesse nazionale prova a condizionare le istituzioni comunitarie perché non si ponga un argine all’uso strumentale delle regole del libero mercato che ne fa la Cina per penetrare il ventre molle dell’occidente. La Germania si dice contraria ad una muraglia di dazi in difesa della industria europea dell’auto per consentirle di recuperare competitività e distanze tecnologiche nelle produzioni a basso impatto. Invece no. Il neonazionlismo dal volto umano tedesco, si dispone ad usare il “grune”, alla stregua del randello “spread” nel 2011, pur di salvaguardare le sue esportazioni e gli investimenti produttivi delocalizzati in Cina. Socialisti come Popolari europei (PPE), una faccia, una razza: Deutschland uber alles. Votate bene il 9 giugno. Oggi e sempre, resistenza..!