C’è un’indirizzo della giurisprudenza applicato dai Tribunali della Repubblica per il quale un fatto, anche se accertato rispondente al vero, non esclude di per sé la diffamazione, a meno che non sussista un interesse pubblico alla conoscenza del fatto stesso e spesso, nemmeno quest’ultima circostanza basta ad evitare la richiesta temeraria di risarcimento danni. La dice lunga infatti la richiesta di mezzo milione di euro avanzata al giornalista Luciano Capone del Foglio per un simpatico calambur

ingiurie ed offese vanno sanzionate, non le opinioni

La diffamazione, che dovrebbe riguardare esclusivamente le ingiurie, le offese, le maldicenze e la rivelazione delle intimità, ha così tanto esteso il suo raggio di applicazione per mano della nostra (in)giustizia, da farne un improprio quanto efficace ufficio del censore.

L’indice di incertezza del diritto che in Italia è direttamente proporzionale all’indice di pervasività della norma fin nelle pieghe d’opinione e di costume, lascia un margine tale da rendere conveniente l’intentare una causa civile col rischio per l’incauto malcapitato di vedersi pignorato il patrimonio o parte di questo dal giudice di turno e finire sul lastrico. Se va bene, s’incassano migliaia di euro senza battere chiodo; se va male, il pizzino giungerà comunque al destinatario così che alla prossima occasione sarà dissuaso ad aprire bocca sugli affari che non lo riguardano.

Una giurisprudenza autentica invece, dovrebbe ispirarsi al principio di realtà. Se un fatto è accertato dal giudice per accaduto, non dovrebbe essere censurato e sanzionato. Il discrimine dovrebbe essere unicamente l’accertamento della verità. Non possiamo immaginare di vivere in una cella di rigore dove scrivere, parlare e documentare con dati di fatto sia un bene riservato a chi non ha niente da perdere.

Oggi, nella moderna società dell’informazione, le occasioni di vedersi chiamati in causa per aver espressa un’opinione sgradita; od accennato ad un fatto realmente accaduto che si vorrebbe sottaciuto per mantenere ipocritamente immacolata la propria pubblica reputazione, sono numerosissime ed a portata di clic.

la sincerità può mandarti sul lastrico

Un twitt od un post scritto in taxi od in metro per ammazzare il tempo di viaggio, rischia di costare carissimo e spesso, mandare sul lastrico anche il comune cittadino che vuole dare banalmente corso alla propria coscienza civica. La risultante delle intimidazioni giudiziali sono una informazione conformista ed una povertà di relazioni che si diramano nel segno della ipocrisia e del raggiro.

Quando non c’è offesa o calunnia, che il verdetto sia il non luogo a procedere

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