Dal Whatever it takes al Whatever mistakes, cronaca dei dazi annunciata

Il professore Tremonti ed il professore Sapelli, sono di casa tra queste pagine e molto stimati. Entrambi da sempre scettici circa le dottrine finanziarie e mercatiste che hanno retto le sorti della economia globale. Le sole voci dissonanti in un coro di assenso quasi unanime a sinistra come a destra, che nel furore del mercato senza confini e nella disciplina della finanza che dettava le regole alla politica, ci annunciava inconsapevole la cronaca dei dazi che hanno “portato” Trump alla Casa Bianca. Merito a Sebastiano Barisoni di averli chiamati ai microfoni di radioSole24, quasi un ve lo avevano detto che sarebbe finita male. Oggi, Tremonti e Sapelli sono tra i pochi ad avere diritto di parola e cosa più importante, a mantenere idee ancora lucide.

Tremonti: globalisti nella polvere

Convinti di aver “vinto la storia”, le élite globaliste alfiere del mercato senza confini; i profeti dell’iperliberismo; i padroni dell’economia liquida e della società atomizzata, ci dicevano che “la globalizzazione fosse irreversibile” e che “il mondo è piatto”. La guerra dei dazi e prima ancora la guerra d’Ucraina, invece ci hanno detto che di piatto c’erano solamente le loro teste. Giulio Tremonti li aveva avvertiti: dietro il fumo dell’internazionalizzazione a tutti i costi, si nascondeva il vuoto delle nazioni smantellate, delle identità svendute, delle fabbriche delocalizzate per far sorridere i grafici della finanza. Adesso il conto è arrivato, e non lo pagano i banchieri centrali, ma gli operai disoccupati, i contadini strozzati, i cittadini a cui hanno detto che la “globalizzazione porta benefici a tutti”.

La guerra in Ucraina ci ha dato la prima mazzata: il mondo unipolare non esiste più, ma loro sono rimasti attaccati al ventilatore che sparge dollari come coriandoli. Poi è arrivato Trump a suonare il secondo campanello: America First, fabbriche a casa, dazi come se piovesse. E l’Europa? Samarrita tra chilometri di regolamenti. L’élites globaliste? Un club di sconfitti, con lauree prestigiose che non hanno capito nulla del mondo che cambia.

Sapelli: l’ordoliberismo che ci ha portati sul burrone

Per anni la Germania ha dettato legge in Europa con la sua Bibbia ordoliberista sotto il braccio. Niente deficit, niente debito, niente politica industriale. Solo esportazioni, disciplina e austerità. Chi sgarrava, finiva sul banco degli imputati: Grecia, Italia, Spagna. “Colpevoli di vivere al di sopra delle proprie possibilità”. Così dicevano i maestri di Berlino, con l’aria severa da contabili del rigore morale. Ma oggi si scopre che i maestri erano ciarlatani. L’ordoliberismo tedesco ha fallito su tutta la linea.

Ha fatto esplodere le disuguaglianze, desertificato l’industria del Sud Europa e costruito un modello economico basato sulla dipendenza dal gas russo e sull’export in Cina. La guerra in Ucraina ha spazzato via tutto: niente gas, niente export, niente crescita. E ora i falchi si sono trasformati in piccioni impanicati. Eppure Bruxelles continua a inchinarsi. La Commissione Europea è ancora prigioniera della linea tedesca: vincoli di bilancio, MES, patto di stabilità. Come se la crisi si curasse con l’aspirina contabile. Il dramma è che la Germania ha imposto all’Europa un modello fatto per sé, ma ha finito per distruggere anche se stessa. Adesso Berlino è in recessione tecnica, ha perso la bussola e – ironia della storia – è costretta a rinnegare la sua stessa dottrina economica. Non è l’Italia che deve imparare dalla Germania. È la Germania che deve chiedere scusa all’Europa.

UE, un’erbivora nel nuovo mondo di carnivori

L’Unione resta impantanata in una struttura istituzionale rigida, incapace di rispondere alla sfida dei tempi. Di fronte al ritorno della geopolitica, Bruxelles continua a ragionare in termini di vincoli contabili. Di fronte alla deglobalizzazione, si affida a trattati vetusti. Di fronte alla crisi sociale, risponde con regolamenti. Il risultato? Un’Europa tecnocratica, distante, inefficace. Che ha perso il consenso dei popoli, l’attenzione dei mercati e perfino la considerazione dei suoi stessi alleati. Il mondo corre verso un nuovo ordine multipolare. Se l’Unione Europea non saprà riscoprire la propria anima politica – fatta di popoli, Stati, interessi concreti – sarà destinata a diventare non il soggetto, ma l’oggetto della storia.

Giulio Tremonti e Giulio Sapelli ai microfoni di radio Sole24 02/04/2025

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